Boomerang jihadista e geopolitica mediorientale 2


Boomerang jihadista e geopolitica mediorientale

Le belle parole dei politici europei di fronte agli attacchi terroristici sono indubbiamente tanto scenografiche quanto ipocrite, dato che in parte scontiamo le conseguenze dell’instabilità mediorientale che le potenze occidentali hanno contribuito a provocare.

Non bisogna però cadere nell’errore di attribuire all’Occidente tutto ciò che accade da quelle parti. Le responsabilità delle potenze occidentali sono enormi ma non sono certamente gli unici fattori determinanti. L’estremismo islamico e la relativa interpretazione ultra-conservatrice della religione sono figli del fallimento della “Nahda” (il cosiddetto riformismo islamico affermatosi a partire dal XIX secolo) e del fallimento del nazionalismo di ispirazione panaraba negli stati post-coloniali, peraltro osteggiato in ogni modo dalle stesse potenze occidentali.

Le masse arabe che tra gli anni cinquanta e sessanta hanno creduto nel cosiddetto “socialismo arabo” (con tutte le sue contraddizioni)  – parte di un movimento più ampio su scala globale –  non esistono più. Molti si fanno irretire dall’Islam politico,  complementare e non alternativo alla globalizzazione neoliberista e gruppi estremisti – influenzati dall’interpretazione ultra-conservatrice del wahabismo – sono in crescita.

Le potenze occidentali – Usa in testa – hanno però utilizzato il jihadismo a proprio piacimento (si pensi alla lotta antisovietica in Afghanistan, al sostegno ai ribelli libici e siriani; alla sottovalutazione –  quando non lo si difendeva espressamente –  del terrorismo ceceno).

Per Brzezinski – influente stratega statunitense scomparso pochi giorni fa – l’estremismo islamico non doveva essere più una barriera ma una vera e propria punta di lancia per colpire i sovietici. La sua strategia di sfruttare il cosiddetto “arco di crisi” era finalizzata a fomentare i dissidi etnici e religiosi all’interno dell’Unione Sovietica, per indebolire il fianco sud dell’avversario geopolitico prima che ideologico.

Con il crollo dell’Urss non si è soltanto concluso un tornante storico ed un inedito “esperimento politico” attraversato da diverse fasi, durato oltre settant’anni (che ha dato peraltro una grande spinta al movimento di riscatto dei popoli colonizzati) ma sono mutati profondamente gli equilibri geopolitici globali, con influenze anche nello scenario mediorientale e centro-asiatico. Non è questa la sede per analizzare l’attuale e rinnovata politica estera russa, per certi versi più dinamica e meno vincolata ai legami ideologici dell’Unione Sovietica, che però con vigore contrastava la Sesta Flotta statunitense tramite il Quinto Squadrone Mediterraneo.

Oggi la Russia, declassata da Obama (in spregio alla geografia) a potenza regionale,  si trova a fronteggiare il contenimento atlantico aggressivo della linea Intermarium dal Baltico al Mar Nero. E’ tornata protagonista nel Mediterraneo Orientale con un approccio diverso rispetto a quello del passato sovietico, che non ha la volontà di emulare (e neppure le risorse per farlo).

Obama, in opposizione alla sovraesposizione militare di Bush junior, ha scelto di adottare una tattica diversa, fatta di guerre per procura tramite il sostegno agli alleati regionali: meno scenografica ma non per questo dagli effetti benefici.  La politica occidentale del “divide et impera”, ha chiuso un occhio sull’internazionale jihadista operante in Siria e ha sortito effetti catastrofici tra i quali vi è il cosiddetto “jihadismo di ritorno”: un grosso problema, enormemente sottovalutato dalle cancellerie occidentali. Centinaia di miliziani che in fondo facevano comodo quando combattevano contro Assad in Siria (dove c’è un variegato panorama jihadista) sono poi tornati a casa con in più un bagaglio di esperienza bellica maturata sul campo. Effetto boomerang.

E’ necessario quindi collaborare con tutti i paesi che lottano contro il terrorismo, Russia in primis, mettendo da parte l’ottusa russofobia nella quale i britannici sono storicamente maestri. Bisognerebbe smettere di  assecondare le monarchie del Golfo, sponsor in diversi modi, più o meno diretti, di gruppi jihadisti che, con un continuo maquillage politico, si rendono presentabili alle cancellerie occidentali (che chiudono un occhio). Lo stesso IS, che è perfettamente autonomo ed anche per certi aspetti un potenziale pericolo per l’Arabia Saudita (a cui vorrebbe, almeno nelle intenzioni formali, strappare il luoghi santi di Mecca e Medina), in fondo è un male minore per i sauditi fintantoché resta lontano dai  confini del regno e si impegna ad ostacolare il vero nemico: l’Iran. Priorità inconfessate ma politicamente tangibili, come ha fatto notare Henry Kissinger [1].

All’interno delle stesse petromonarchie (quindi all’interno del mondo sunnita) si sono manifestate divergenze di vedute, esplose nella recente rottura da parte di Arabia Saudita, Bahrein, Egitto, Yemen ed Emirati Arabi Uniti nei confronti del Qatar. Una rottura più pesante di quella già avvenuta nel 2014 a causa dell’iperattivismo qatarino in favore della fratellanza musulmana (che spaventava l’immutabile regno saudita). Il Qatar negli ultimi anni ha infatti manifestato un atteggiamento maggiormente pragmatico nei confronti dell’Iran, anche a seguito dei reciproci interessi economici.

L’Arabia Saudita, incoronata da Trump a legittima portavoce del mondo arabo-sunnita [2], ha deciso di rompere gli indugi e di compattare il Golfo contro il rivale. Gli scenari in cui si sono maggiormente manifestate le divergenze sono la Libia e l’Egitto, dove il Qatar ha agito di comune accordo con la Turchia di Erdogan, che non a caso ha espresso rammarico per la rottura con Doha. Al di là dei pretesti retorici sul “supporto al terrorismo” (da quale pulpito!), è chiara la postura anti-iraniana anche in questo caso benedetta da Donald Trump, come ha evidenziato molto bene Fareed Zakaria sul “Washington Post”[3].

In Medio Oriente Donald Trump resuscita l’ “Asse del Male” e rinsalda i legami con Arabia Saudita ed Israele. E qualcuno lo immaginava un “realista”…

Federico La Mattina

Riferimenti

[1] http://www.wsj.com/articles/a-path-out-of-the-middle-east-collapse-1445037513

[2] 44d09ff5a4a8_story.html?utm_term=.ab509318087chttps://www.whitehouse.gov/the-press-office/2017/05/21/president-trumps-speech-arab-islamic-american-summit

[3]https://www.washingtonpost.com/opinions/global-opinions/saudi-arabia-just-played-donald-trump/2017/05/25/d0932702-4184-11e7-8c25-.


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2 commenti su “Boomerang jihadista e geopolitica mediorientale

  • Alberto Volpi

    “E qualcuno lo immaginava un “realista”…” La politica di Trump è di fatto plasmata giorno dopo giorno dalle pressioni e dai ricatti dei poteri retroscenici. La minaccia di impeachment è sempre all’orizzonte. Trump ed i gruppi di potere democratici e repubblicani sono due aspetti della stessa crisi di prospettiva politica globale degli Stati Uniti. Le allusioni polemiche alle “illusioni circa le novità rappresentate da Trump” così come le rivalutazioni di Obama nel confronto con Trump fanno perdere di vista la questione principale ovvero la crisi della egemonia americana nel mondo che coesiste con una enorme forza militare ed un peso industriale-finanziario tuttora rilevante nonostante limiti ben noti.