La calpestata memoria di Pier Paolo Pasolini


 

La calpestata memoria di Pier Paolo Pasolini

Oggi, tra le tante contraddizioni che nella nostra Nazione possono essere rilevate, ve ne è una in particolare che risulta degna di nota, sia per il suo essersi manifestata recentemente, sia per aver rappresentato un fenomeno la cui manifestazione sarebbe dovuta esser vista in principio come una vera e propria barzelletta, dunque come un qualcosa la cui possibilità di esistere fosse vista come assurda.

L’assurdo, però, è stato in realtà riscontrato propriamente nel manifestarsi di questo fenomeno, che rappresenta in tutta la sua essenza la vuotezza e la decadenza morale in cui oggi si barcamena il popolo italiano. ’Tale premessa allude all’episodio che ha visto Matteo Renzi inaugurare la ‘’Scuola di Partito Pier Paolo Pasolini’’ e al discorso in quella circostanza tenuto, accostando dunque il nome di quest’ultimo al nome di un partito che anno per anno ha sbiadito fino alle radici il senso di un’idea che vedeva perfettamente accomunabili individuo e fazione politica di rappresentanza.

 

Pier Paolo Pasolini, per tutti coloro che lo conoscono grazie agli scritti che lo resero il corsaro e le storie di borgata intrise di archetipi che gli costarono enormi vilipendi e processi, rappresentò in verità quell’intellettuale perfettamente organico di cui ci parlava Gramsci. All’identificazione dell’espressione intellettuale organico alludeva a un profilo antropologico che prevedeva la perfetta connessione tra l’azione dell’uomo che parteggiava e si batteva politicamente e la realtà del partito di appartenenza.

Quando Pasolini venne espulsoal partito comunista, nella sua figura si identificò più che mai l’immagine di un intellettuale in rivolta, che in virtù della definizione gramsciana di intellettuale organico, si ritrovò a dover smascherare ciò di cui in principio avrebbe dovuto far parte per rappresentanza politica.

Pasolini era perfettamente consapevole che la classe dirigente che si ergeva a vessillo di quell’ideologia era in realtà quella decadente – culturalmente e politicamente – classe borghese che tanto detestava e alla quale delegava le colpe di quelle contraddizioni che si sviluppavano tra i due poli, litica che non permetteva un’organizzazione di intellettuali che ammaestrasse le coscienze, e dall’altro dalla società civile che sempre di più andava immolandosi verso l’orda capitalista del consumismo imperante, facendo dunque morire una coscienza di classe.



Nell’ottica di una visione pasoliniana della realtà, com’è concepibile che un partito come quello democratico italiano, che fino al Dicembre 2016 veniva guidato da Matteo Renzi, possa essere ispirato alla figura di Pier Paolo Pasolini? Siamo sicuri che ci sia la veritiera coscienza di chi sia stato in Italia Pier Paolo Pasolini? O si è soltanto bravi a fare il suo nome per ergersi a paladini della giustizia pur non essendo tali?

Il Partito Democratico italiano rappresenta tutto ciò che Pasolini, nella poesia che pubblicava il 16 Giugno del 1968, intitolata Il Pci ai giovani, criticava. Quella borghesia decadente senza cultura che, trainata da un potere economico che la garantiva come classe e status sociale, avanzava imperterrita a discapito delle classi subalterne. Il Partito Democratico e tutto quell’entourage che oggi osa atteggiarsi in modo obsoleto a sinistra di un Parlamento, dovrebbe soltanto prendere coscienza che la propria vuotezza politica ed etica e il proprio vuoto potere oggi hanno ucciso nuovamente Pier Paolo Pasolini, la cui memoria ancora oggi, dopo 40 anni dalla sua morte, non ha avuto il merito prezioso che le si doveva.

Una classe politica generale che si ritrova incapace e impossibilitata nel comprendere le logiche che possano portare una Nazione al cambiamento. La nostra Nazione, soggetto di un’epoca che ragiona secondo le logiche del globale e dunque dell’uguaglianza forzatamente imposta a discapito dell’emergere delle identità, oggi rappresenta il prodotto di una profezia che Pasolini fece a suo tempo.

Una Nazione in cui il consumismo e l’idea che il consumare senza logica sia l’unica via ideale, una Nazione in cui continuamente, senza nessun cambiamento rispetto alla Prima Repubblica, gli scandali politici diventano alimenti commestibili per la macchina mediatica, una Nazione in cui gli intellettuali, come figure che ammaestrano le generazioni, non esistono più.

La vuotezza sta nelle mancanze che caratterizzano quelle contraddizioni, che dovrebbero essere motivo per pensare altrimenti, pensare in modo diverso a ciò che subdolamente viene fatto passare per categoria del vero. La cultura del sospetto, che tanto mosse Pasolini nei suoi scritti, nei suoi film e in tutta la sua totale intenzionalità di fondo del denunciare e smascherare ai fini di un ritrovamento della verità, rappresenta l’unico fondamento ideale per la costituzione antropologica di un intellettuale organico.

Il PD di Renzi può solo vantarsi di essere la perfetta rappresentazione di ciò contro cui Pasolini si era scontrato con tutte le sue forse e con tutta la solitudine che il sistema gli aveva imposto, perché è questa una delle armi di un sistema a cui si fa resistenza, ovvero creare il vuoto attorno. Oggi, in realtà, non vi è, sia al livello micro di partito, sia al livello macro di attività politica, la possibilità di poter ispirare qualcosa all’autore di Io so (1974).

Questa epoca che non trova argini e contestazioni, che non vede al suo orizzonte uomini in rivolta assetati di verità e giustizia, che non crea generazioni di lettori, non può prendersi la responsabilità di ispirarsi all’uomo che fu Pier Paolo Pasolini, un uomo in cui la teoria e la politica accostate facevano a loro volta riecheggiare nelle sue vene Gramsci, Marx e  Lenin, tutti vessilli che adornavano il sentimento rivoluzionario da muovere nei confronti di una realtà degradata dal volere dell’uomo di potere.

Dunque, sarebbe una conquista morale,un passo indietro da parte di tale partito che oggi senza capirlo, calpesta la figura di uno dei più grandi intellettuali del Novecento, di una delle figure più struggenti del panorama culturale non solo italiano ma anche europeo. Pier Paolo Pasolini sarà per sempre un individuo scomodo, anche da morto, ma alla generazione dei giovani, termine che con tanta facilità ai fini di un giustificazionismo misticheggiante la nostra politica utilizza, non resta che studiarlo e interpretarlo a dovere, affinchè il suo testamento riecheggi per sempre dentro la coscienza dell’uomo.

Maurilio Ginex

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