Hassan Rouhani si aggiudica la vittoria alle elezioni Iraniane con il 56,88% dei voti, Raisi al 38,55, affluenza al 70%
La sorprendente vittoria del candidato liberale e riformista, all’interno di una Repubblica teocratica ancora fortemente conservatrice dal punto di vista delle libertà civili, ha permesso a Rouhani di evitare il ballottaggio con il suo principale avversario, Ebrahim Raisi.
La campagna elettorale fortemente polarizzata arriva ad una conclusione: il popolo Iraniano ( i ceti dell’élite colta e la borghesia media) ha scelto di continuare il processo di apertura al mondo occidentale, sancito dalla stipulazione dell’accordo sul nucleare con gli Stati Uniti.
Le promesse di ingenti elargizioni per le fasce meno abbienti e la retorica spesso populista del fronte conservatore, non hanno nascosto l’intento di Raisi di limitare le libertà civili, in un paese in cui alcuni elementi di un classico regime autoritario sono tutt’ora un retaggio del passato che non accenna ad arrestarsi.
La sfida di Rouhani nel suo processo di apertura al mondo occidentale ha adesso una doppia missione. Se da un lato infatti la corruzione e il clientelismo che tutt’ora caratterizzano gran parte dell’apparato burocratico iraniano, tengono lontani gli investitori stranieri, compromettendo l’immagine internazionale del regime; dall’altro, anche sul fronte interno, il nuovo presidente dovrà lavorare molto per convincere i propri cittadini riguardo i vantaggi dell’accordo sul nucleare, malgrado il quale la disoccupazione resta ancora attorno al 10%.
Un’apertura all’Occidente che non prevede però, almeno a parole, un significativo avvicinamento alla potenza statunitense. Il sostegno alle forze anti-statunitensi in Medioriente, da Bashar al-Assad in Siria a Hezbollah in Libano, dal sostegno alle forze sciite in Iraq, fino all’antagonismo verso Israele e l’Arabia Saudita, sembrano essere garantite dalle promesse del nuovo presidente iraniano.
Sul fronte interno una forte sfida potrebbe essere rappresentata dalla resistenza di un intero apparato, che durante le elezioni si è schierato con il candidato conservatore: dal clero, agli apparati burocratici dello “Stato profondo” iraniano, la milizia dei Basiji e le Guardie della rivoluzione. Insieme ad essi, va certamente ricordata la ingombrante presenza della prima carica dello stato: la guida suprema ayatollah Alì Khamenei, il quale, seppur non abbia in alcun modo parteggiato per alcun candidato, la sua idea conservatrice sulle libertà individuali e i diritti civili, lo accomuna maggiormente allo sconfitto Ebrahim Raisi.
Poco spazio invece è stato lasciato, in campagna elettorale, ai diritti umani e civili, che restano in Iran ancora fortemente sotto gli standard delle principali convenzioni internazionali, con diversi giornalisti e attivisti incarcerati con accuse formulate in maniera vaga e generica secondo Amnesty International.
Ad oggi non è dato sapere se l’apertura all’Occidente, seppur con tutte le resistenze interne che essa comporterà, potrà avviare un processo di sanzioni sociali tali per cui, anche sotto questo aspetto, si possa sperare per un’inversione di tendenza.
L’unica cosa certa è che la lotta contro il sistema clientelare e gli apparati militari e religiosi, unica via per rendere l’avvicinamento con l’Occidente efficace per l’economia interna del paese, sarà molto più ardua di quanto la gioia della vittoria appena ottenuta possa far pensare. Il traguardo da raggiungere è ancora lontano.