ELEZIONI IN IRAN 2017: LA VITTORIA DEL POPOLO IRANIANO


Elezioni presidenziali e amministrative in Iran 2017: una civile e vivace competizione elettorale, una grande prova di dignità e unità nazionale. La vittoria del popolo iraniano.

Hasan Rohani, attuale presidente, ha vinto con oltre 23.549 milioni di voti. Il candidato avversario più credibile, Ebrahim Raisi segue con 15.786 milioni di voti. Gli altri 4 candidati si distaccano di molto.

 Aveva ragione la guida suprema della Repubblica islamica dell’Iran, al-sayyid ‘Ali Khamenei[1], alla vigilia del voto in Iran, quando aveva dichiarato: alla fine vincerà una sola persona e sarà il presidente, ma è chiaro che il vero vincitore sarà il popolo iraniano e l’ordinamento islamico.

La guida suprema in persiano usa l’espressione “regime islamico” che abbiamo tradotto ordinamento. Sappiamo infatti che nella visione occidentale tale espressione, che indica un tipo di ordinamento istituzionale e di governo, sarebbe recepita in modo negativa. La parola regime anche in persiano deriva dalla radice araba <nazama>. La forma verbale nazama vuol dire tra le altre cose infilare le perle, sistemare, adattare, organizzare. Il sostantivo nizàm è quindi l’ordinamento opportuno, la disposizione appropriata.

E’ il sistema organizzato, il sistema dei regolamenti, niente di più. Se volessimo leggere il senso vero delle parole del sayyid ‘Ali Khamenei, potremmo dire che esse esprimono una profonda fiducia nel popolo iraniano. E’ sottolineato infatti il clima di vivace e positivo dibattito elettorale, politico e culturale, che in queste settimane ha contraddistinto la vita del paese e coinvolto la composita società dell’Iran, nelle grandi città, come Tehràn e Mashhad, e nei villaggi delle province più lontane dal centro.

A tale proposito è bene ricordare che il centro in Iran è emblematicamente rappresentato dalla capitale Tehràn, megalopoli moderna sede delle Istituzioni politiche del paese e, ad un’ora di autostrada verso sud, dall’altra città, quella di Qom, considerata in Occidente erroneamente santa, ma tranquilla città, sede degli studi musulmani shi’iti e di alta formazione per gli uomini e donne di religione. Lungo la strada, a metà strada, il grande e moderno aeroporto internazionale al-imam Khomeini, il fondatore della Repubblica islamica e guida della rivoluzione  (enqelàb) nel 1979.

Il movimento del 1978-79 fu un sommovimento di popolo, vissuto coralmente, come qualcuno ricorderà, contro una monarchia, quella dei Pahlevi, dispotica, arretrata e tra le più corrotte dell’area, ma allo stesso tempo assai corteggiata da americani, occidentali e paesi arabi reazionari nel quadro della guerra fredda e dello scontro politico economico all’interno del Vicino Oriente arabo.

Protesters around Shahyad Tower (later Azadi Tower), Tehran, 1979


Il carattere unitario e corale di quel movimento rivoluzionario ha senza dubbio influenzato le scelte successive della Repubblica islamica. Ciò in un quadro di sostanziale adesione del popolo iraniano all’ordinamento istituzionale islamico, favorendo al tempo stesso politiche socio-economiche e relazioni internazionali in genere improntate a pragmatismo e a sano empirismo, seppur all’interno di note contraddizioni, nonché di limiti e di ambiguità[2].

Sembrerebbe paradossale, ma così non è, che con i civili come presidenti la politica iraniana è stata recepita in Occidente come più ideologizzata e turbolenta (vedi caso di Maḥmūd Aḥmadinežād, 2005-2013), mentre con i presidenti “preti” (Khatami e l’attuale Hasan Rohani) la politica dell’Iran è stata considerata come moderata ed equilibrata (naturalmente non tutti in occidente la pensano allo stesso modo).

La guida suprema al-sayyid ‘Ali Khamenei voleva dire: il popolo partecipa consapevolmente alle grandi scelte del paese, si scontra civilmente, crede nell’ordinamento democratico in funzione, vota i suoi candidati preferiti, ma – teneva a sottolineare – nutre fiducia e rispetto per il sistema della Repubblica Islamica, in nome del patriottismo e dell’unità. Dati questi non secondari che hanno preservato il popolo iraniano dalla deriva e dal caos che ha dominato la scena araba dal 2011.

Cittadini Iraniani in coda alle Urne.

Come è noto negli anni seguenti il 2011, primavera araba per alcuni, caos e complotto internazionale per altri, tra cui il sottoscritto, l’Iran, sotto la presidenza di Rohani, è stato impegnato su più fronti nel contrasto e nella battaglia contro il jihadismo e i movimenti takfiriyya; in Siria soprattutto e poi nello Yemen in difesa di Ansàr Allah e contro l’aggressione saudiana, subendo anche pressioni ed attacchi ai confini da parte dei gruppi armati terroristi, soprattutto nel Balucistan al confine con il Pakistan.

Ora che si sa che il presidente per i prossimi 4 anni è l’attuale presidente Hasan Rohani, vale la pena fare qualche considerazione che tenterò di svolgere, in poche righe e a mo’ di conclusione. Molti in Italia ed in Occidente faranno analisi su queste elezioni presidenziali in Iran (pochi si occuperanno dei risultati delle elezioni nei consigli comunali, risultati invece importanti per il governo di città e villaggi del complicato paese che è l’Iran), il punto di partenza sarà il sollievo derivato dalla vittoria di Rohani sul “conservatore” qadi (giudice) Raisi.

Da una parte il progresso e dall’altra la conservazione; da una parte l’apertura all’Occidente, dall’altra la chiusura. In verità un teorema questo che lo stesso Raisi ha voluto presentare all’elettorato, accusando Rohani di avere svenduto la rivoluzione islamica. La qual cosa non corrisponde alla situazione interna ed internazionale dell’Iran. Sarebbe bene quindi che si affrontasse il tema della apertura liberale vs tradizione e/o conservazione in rapporto alla realtà della società iraniana, in grandissima musulmana e shi’ita, e non ad una astratta visione dei rapporti internazionali.

Sarebbe opportuno cioè smettere di usare le idee di liberalismo, conservazione, pragmatismo solo in rapporto alle relazioni con l’Occidente. La società iraniana composita, dal punto di vista socio-culturale ed etnica, ha piena consapevolezza della storia e della geografia del grande paese in cui vive e del sistema di legami assai complicato di cui l’Iran è al centro (comunità musulmana e dottrine e tendenze differenti in un’area vastissima e variegata). L’uomo e la donna iraniani hanno sperimentato negli anni cosa significhi lavorare e vivere, nelle città e nelle campagne, all’interno di un brutale sistema di sanzioni economiche, dettate dagli Stati Uniti,  ancora in funzione e che Trump vuole rafforzare.

Questo tema è stato al centro della campagna elettorale, ed è stato legato da un lato all’affermazione della dignità nazionale, e dall’altro allo sviluppo economico e quindi al nucleare per uso civile. A ciò bisogna aggiungere la questione palestinese, che rimane centrale nella politica regionale ed internazionale fin dall’avvento della Repubblica Islamica; la scelta di sostenere militarmente lo Stato e il popolo di Siria, sostegno considerato strategico a partire dal 2012 nella visione regionale iraniana (per cui l’Iran rafforza la sua presenza in Iraq, Siria e Libano), così come strategiche sono considerate le relazioni con la Russia di Putin.

Si tratta di aspetti importanti e controversi, che dovrebbero indurre a una maggiore attenzione nell’approccio alla realtà Iran fuori da ragionamenti semplicistici a cui da anni si appassionano i media del nostro paese e dell’Occidente. Ovviamente con ciò non intendo dire che le questioni relative alla posizione della donna e/o al ruolo dei giovani vada sottovalutato. Esse rappresentano però un altro capitolo tra i tanti su cui  discutere.

Dal punto di vista personale, concludo con i complimenti per la bella vittoria di Hasan Rohani, e manifestando la mia vicinanza al popolo iraniano, il vero protagonista di queste elezioni, che ha voluto scegliere e l’ha fatto, senza per fortuna dovere ricorrere al “menopeggismo” ormai di moda in Occidente.

Antonino Pellitteri

Prof. Ordinario di Storia dei Paesi Islamici

Dipartimento di Scienze Umanistiche

Università degli Studi di Palermo

 

Note:

[1]    E’ utile spiegare brevemente che il termine “sayyid”, arabo che in genere oggi traduce signore, ha soprattutto il senso onorifico di discendente dalla famiglia del profeta, ruolo riconosciuto importante da tutti i musulmani, e che presso gli shi’iti assume una connotazione teosofica in rapporto alla gente della casa (ahl al-bayt o la famiglia del profeta Muhammad per discendenza da ‘Ali e da Fatima, rispettivamente cugino e figlia del profeta stesso).

[2]    Geopolitica Vol. V No. 2 – L’Iran dopo le Sanzioni: Energia, Giovani, Islam, Modernità, e Crisi Regionale, 2016.

 

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