Vaga ed enigmatica era stata la risposta di Trump, incalzato dai giornalisti sulla reazione degli Stati Uniti al bombardamento di Idlib in Siria. L’ambiguità del “vedrete” di Trump in risposta ai cronisti è stata del tutto messa da parte quando, tra le due e le tre di notte (ora Italiana) 59 missili sono stati sferrati dall’esercito americano contro la regione di Homs, nella base aerea governativa di Shayrat.
Nel giro di poche ore l’isolazionismo promesso da Donald Trump durante l’intera campagna elettorale e sancito dalla dichiarazione di Nikki Haley al Consiglio di Sicurezza contro un eventuale Regime Change in Siria, è stato cancellato da quello che il presidente Putin ha definito come un “grave attacco ad uno stato sovrano”. Le prove fornite dall’intelligence americano sull’ipotetica responsabilità del regime di Assad per l’utilizzo di armi chimiche ad Idlib, sembrano risultate sufficienti per Trump per l’autorizzazione del bombardamento.
Come prevedibile, l’azione ha ricevuto sin da subito il plauso dell’ex candidata democratica alla casa bianca Hillary Clinton, nonché di Arabia Saudita e Israele. Di contro, la reazione Russa non si è fatta attendere, con la dichiarazione del ministro degli esteri, che dal Cremlino ha dato notizia dell’immediata sospensione del memorandum di cooperazione con gli Stati Uniti sulla prevenzione degli incidenti in garanzia della sicurezza dei voli militari in Siria
L’escalation di violenze generata dal gravissimo utilizzo di armi chimiche un paio di giorni fa, ha fatto precipitare l’intera comunità internazionale nel caos e nell’incertezza, che sembravano essersi placati da quando la Russia era riuscita ad imporsi come dealmaker dello scacchiere siriano.
Ragioni e conseguenze di una decisione così inaspettata e palesemente in contrasto con il diritto internazionale non sono certamente facili da comprendere. Malgrado ciò, da uno sguardo più attento all’ambiente all’interno del quale l’amministrazione Trump ha formulato le proprie strategie, è possibile formulare alcune considerazioni.
Una linea politica così schizofrenica, seppur prevedibile per un personaggio così fuori dagli schemi come Trump, sembra essere il frutto di un’incertezza data da una difficile posizione del neo presidente, il cui destino sembra collocarsi all’ interno di un perenne scontro tra l’incudine delle promesse elettorali e il martello della realpoiltik, rappresentata dagli interessi particolaristici tanto della vecchia guardia repubblicana, quanto delle varie lobbies di cui Senato e Congresso sono invasi.
Tale schizofrenia non sarebbe affatto nuova ad un sistema multipartitico in cui, come spesso capita, i governi di alleanza presentano spesso politiche contrastanti tra loro in relazione al partito della coalizione di governo che l’ha sostenuta. In un sistema fondamentalmente bipartitico come quello statunitense, tale ambiguità nelle politiche non può che trovare spiegazione nel fatto che, all’interno della politica americana, attori extra governativi ed extra statali abbiano lo stesso identico peso dei partiti, con la sola differenza che tali attori, non presentandosi alle elezioni politiche, non godono di alcuna legittimità.
La notizia dell’esclusione di Stephen Bannon, importante rappresentante del populismo americano, dal Consiglio per la Sicurezza nazionale sembra essere uno dei risultati del suddetto scontro, che ha ben presto portato all’ingresso nel medesimo Consiglio, del generale McMaster, stratega dell’illegale aggressione all’Iraq.
Parallelamente a tale scelta, vi è però da considerare un aspetto non di poco conto emerso poche ore dopo l’attacco di questa notte. Trump sostiene infatti che, oltre all’Unione Europea, anche la Russia, e quindi indirettamente anche Assad, sia stata avvisata con largo anticipo del bombardamento, così da poter limitare al minimo le perdite umane e civili in particolare, circoscrivendo ad un’area specifica l’intervento. Se tale versione fosse vera, malgrado ben presto sconfessata dal Cremlino, potrebbe rappresentare una, seppur minima, vittoria di quell’incudine precedentemente citata, rappresentata dalle promesse di un isolazionismo e di un parziale disimpegno in Medioriente, fortemente voluto dalla fazione più realista degli ambienti Repubblicani.
Nulla invece è stato ancora detto in riferimento ad un eventuale cambio di linea anche sul Regime Change fortemente voluto dagli avversari democratici. Tuttavia, se l’intervento di questa notte rappresenta l’inizio di un nuovo corso per l’amministrazione Trump, gli storici alleati statunitensi, dall’Arabia Saudita ad Israele e al figliol prodigo turco, potranno ricompattarsi attorno al nuovo presidente sulla linea da tenere in Siria, e il precario equilibrio raggiunto nella regione sotto il controllo governativo e la protezione russa, potrebbe ben presto crollare.