Arte & Politica: Il Realismo e la rappresentazione della storia


 


Da oggi I.Me.S.I. si apre al mondo dell’arte. Tenteremo di spiegare le dinamiche sociali e politiche che la storia sottende attraverso lo sguardo degli artisti e la loro rappresentazione della realtà. E, proprio parlando di realtà, quale modo migliore per cominciare che considerare la visione dei realisti? Nell’articolo di Alessia Girgenti l’analisi del rapporto tra Storia e Arte attraverso la lente degli artisti realisti di prima e seconda generazione.

Il Realismo e la rappresentazione della storia tra artisti di prima e seconda generazione

Potremmo pensare alla storia come ad una sorta di tela bianca: ogni avvenimento, come una pennellata sulla tela, contribuisce a suo modo a dare vita al complesso esito finale. Come per una qualsiasi opera d’arte inoltre è impossibile cogliere al primo sguardo tutte le sfaccettature e i complessi equilibri che la storia nasconde. D’altra parte, non si può non prendere atto del fatto che esiste un fortissimo legame tra Storia e Arte, intese non solo come “discipline”, ma come veri e propri processi creativi che l’uomo mette in atto per dare vita a qualcosa di estremamente complesso e articolato.

La perfetta comunione tra Arte e Storia può essere rintracciata nella convergenza di due definizioni filosofiche del concetto di Arte, elaborate a distanza di secoli ed estremamente diverse tra loro, ma che perfettamente rappresentano i suoi due volti: se da un lato infatti, l’Arte può essere definita come la rappresentazione, anzi, per dirla come Aristotele, l’imitazione del mondo sensibile, è pure vero che essa rappresenta l’incontro e il perfetto connubio tra intelletto e immaginazione. Proprio in questo connubio Immanuel Kant nella Critica del Giudizio riconosceva il concetto di bellezza oggettivamente riconosciuta, ideale cui l’uomo può aspirare proprio attraverso la produzione di opere d’arte.

Dalla convergenza di queste due visioni deriva una visione d’insieme estremamente complessa, che tuttavia palesa la capacità creativa del “genio” umano di rappresentare la realtà, e quindi la storia, trasfigurandola e traendone importanti metafore e spunti di riflessione. C’è chi, tuttavia, ha persino rintracciato nella rappresentazione artistica una fedele riproduzione del reale, una trasposizione quasi scientifica dei fatti. Il momento storico è la seconda metà dell’Ottocento: agli slanci romantici che hanno invaso il panorama artistico nella prima metà del secolo si contrappone ora il desiderio di scientificità, persino dove di scientifico si è ancora parlato ben poco.

Il Romanticismo lascia spazio al Realismo -così viene chiamata la spasmodica osservazione e scientifica trasposizione del reale- che “intendeva dare del mondo reale una rappresentazione fedele, oggettiva e imparziale, fondata sulla meticolosa osservazione della vita contemporanea”[1]. Viene a questo punto da chiedersi, tuttavia, se sia effettivamente possibile rappresentare fedelmente la realtà, considerando che l’impronta soggettiva e personale dell’artista è sempre riscontrabile nelle sue opere, e che ciascun soggetto attribuisce significati diversi al reale per mezzo di diverse categorizzazioni; ma soprattutto viene da chiedersi se sia effettivamente possibile parlare di “reale”.

Il concetto di realtà infatti ben si presta ad un processo di problematizzazione già di per sé, in quanto ben difficile è elaborare una definizione oggettiva e universalmente riconosciuta di reale, e ancor di più se accostato al processo di creazione artistica :

“La vera realtà trascende la sensazione immediata e gli oggetti che vediamo ogni giorno. Solo ciò che esiste in sé è reale…L’arte scava tra le parvenze e le illusioni di questo mondo basso ed effimero e il contenuto reale degli eventi, rivestendo questi eventi e fenomeni di una realtà superiore, generata dallo spirito… Lungi dall’essere semplici apparenze e illustrazioni della realtà ordinaria, le manifestazioni dell’arte hanno una realtà più elevata e un’esistenza più vera”.

Basandoci sulle parole di Hegel, dunque, saremmo portati a dire che la definizione di realismo si riveli in un certo senso fuorviante, poiché la rappresentazione artistica, pur tentando di rimanere quanto più legata possibile ai fatti reali, non ne è semplice specchio. Proprio questo dato però, pur apparentemente sconfortante, ci permette di cogliere il vero nesso esistente tra l’Arte e il contesto storico che essa tenta di rappresentare.

Mettendo un attimo da parte le dissertazioni filosofiche infatti, fondamentale si rivela a questo punto il dato storico-politico associato all’epoca in questione, segnata da una progressiva democratizzazione e caratterizzata dalla ribalta di classi sociali prima ignorate. Se infatti il Romanticismo aveva inaugurato quello slancio partecipativo che investiva non più solo le classi nobiliari e aristocratiche, ma anche il popolo, quello stesso popolo che in nome dell’ideale di Nazione aveva in più parti del mondo imbracciato le armi, il Realismo getta ora una luce nuova su questi stessi soggetti: come vivono? Cosa pensano? Sono reali, parti integranti di fenomeni e vicende reali e vanno pertanto descritti e rappresentati.

Il fatto poi che con l’avvento del Realismo la pittura storica perda la sua indiscussa centralità favorisce ancor di più la funzione di denuncia sociale assunta dalle opere realiste, tutte volte a rappresentare il presente, il qui e l’ora. “Il faut être de son temps”, l’artista deve appartenere al proprio tempo.

 Si potrebbe in un certo senso affermare che il Realismo offra una visione della realtà che proviene dal basso, e che dalla semplicità della scena ritratta trae spunti di riflessione di grande importanza. Eppure si rivelerebbe fuorviante e riduttivo pensare che in questa idea si esaurisca la missione realista della rappresentazione delle istanze politiche; si potrebbe persino affermare che questa idea non sia che il germe dell’evoluzione della corrente realista che, nei suoi ultimi aneliti di vita, tenderà, come nel precedente romantico, verso la rappresentazione di valori duraturi ma al tempo stesso sfuggenti, perfettamente integrati nell’attività pittorica degli ex impressionisti. Queste due anime del realismo si concretizzano in due opere, risalenti rispettivamente al 1849 e al 1878, ovvero “Gli Spaccapietre”, di Gustave Courbet e “Rue Montorgueil” di Claude Monet.

Ne “Gli Spaccapietre” Courbet offre, come affermato in maniera puntuale dal filosofo suo amico Proudhon, “un ironico attacco alla civiltà industriale”.


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“Gli Spaccapietre” Courbet


Essa rappresentava (purtroppo la tela andò distrutta durante la Seconda Guerra Mondiale) due uomini intenti a spaccare la roccia in una cava di pietra. La posizione dei due uomini li costringe a tenere lo sguardo rivolto verso il basso, verso il proprio lavoro, anziché all’orizzonte. Proprio la linea d’orizzonte, poi, è completamente inesistente, elemento che sovverte, insieme al crudo realismo della scena, i canoni artistici fino a quel momento vigenti.

Courbet rappresenta in un certo senso il padre del realismo inteso come sforzo di documentazione del reale alle spese dei classici canoni estetici, nonché il padre delle rivendicazioni politiche e sociali degli artisti dell’epoca: il desiderio di democratizzazione, l’uguaglianza tra gli individui e il ripudio di false gerarchie e differenziazioni ingannevoli. L’arte incontra la storia e le problematiche sociali e politiche e rappresenta in immagini il nuovo protagonismo delle classi lavoratrici, e in particolare dei lavoratori rurali.

La Rivoluzione del ’48, d’altra parte, aveva già portato in auge il tema del lavoro, facendolo assurgere ad uno dei diritti fondamentali dei cittadini, non più solo cittadini ma anche “lavoratori”. L’uso della terminologia rivoluzionaria, unito alla rappresentazione iconografica del lavoratore, pongono la figura nel giusto e realistico compromesso tra ideale e reale, tra mito e concreto.

La figura del lavoratore rurale rappresentava poi con ancora maggiore pregnanza questa dicotomia: malgrado la crescente industrializzazione, accompagnata da un’irrefrenabile processo di urbanizzazione, il lavoro rurale rappresentava una costante a fine 800 e la maggior parte dei lavoratori svolgeva attività annesse al lavoro dei campi: il lavoratore rurale era insomma la perfetta incarnazione del “peuple”, una costante nel cambiamento e nel percorso verso la modernità.

O almeno di costante si poté parlare in questa prima fase del realismo, quando ancora la campagna rappresentava, in una visione virgiliana dello spazio, un porto sicuro in contrapposizione al caos urbano. A fine Ottocento il lento e graduale processo di modernizzazione che investì la società raggiunse il suo acme nella rappresentazione pittorica dei post-impressionisti.

Esemplificativa è in questo contesto l’opera di Monet “La Rue Montorgueil”, realizzata il 30 Giugno 1878. La data non è affatto casuale: si tratta della festa della pace e del lavoro, istituita quello stesso anno dal governo al fine di celebrare lo spirito nazionale dopo la disfatta subita durante il conflitto franco-prussiano. Ritorna dunque, nel nome della festività, il tema del lavoro, tanto caro ai realisti di prima generazione, ma emerge anche una visione diversa della realtà, meno pragmatica, più simbolica.


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“La Rue Montorgueil” Monet


Il quadro rappresenta infatti i festeggiamenti, probabilmente in onore del 14 Luglio, in una città che l’artista osserva dall’alto e in cui svettano festosi i vessilli della Francia democratica; solo bandiere, dunque, non persone. L’ideale ha qui la meglio sull’umano. L’artista, poi, sembra guardare la scena da un punto di vista privilegiato, il ne faut pas être de son temps.

Questi alcuni degli elementi che segnano l’inizio di una nuova fase storica ed artistica, che simboleggiano la rottura dei vecchi equilibri, delle vecchie certezze e la ricerca di nuove realtà, di nuovi ideali da rappresentare e nuove storie da raccontare. Storia ed Arte dunque si muovono su binari paralleli, con percorsi tutt’altro che lineari o prevedibili e il realismo ha rappresentato, e rappresenta tutt’ora, la volontà senza tempo di creare un’istantanea della storia, che colga al meglio i tratti distintivi di un’epoca e che la renda, grazie alla tela dell’artista, immortale e mai dimenticata.

Alessia Girgenti

[1] L. Nochlin, “Il realismo nella pittura europea del XIX secolo”

 

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