Sfide politiche nell’era Tump, il commento dell’Ambasciatore Sanguini



Donald Trump announces his candidacy for president during a rally at his Trump Tower on Fifth Avenue in Manhattan, New York, on Tuesday June 16, 2015. Mr. Trump also announced the release of a financial statement that he says denotes a personal net worth of over 8 billion dollars.

Donald Trump


Il commento dell’Ambasciatore Armando Sanguini:

Avverto il bisogno di condividere con gli amici queste mie riflessioni “Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”, si dice. E se a dire è un politico, e per giunta in campagna elettorale, allora il mare diventa un oceano. In fondo, tutti i benpensanti condividono quest’asserzione perché l’esperienza dice che così accade, con buona pace di chi invece vota sperando che alle parole e alle promesse seguano fatti e adempimenti conseguenti.

Ebbene, la buona notizia che ci viene da Washington è che Trump, invece, mantiene la parola data in campagna elettorale. E che lo fa ad un ritmo impressionante e senza ripensamenti, dando un messaggio che non avrebbe potuto essere più chiaro, per i suoi elettori ma anche per i suoi oppositori, forse non la maggioranza degli americani; per l’intera Comunità internazionale, alleati e partner, avversari e nemici: dovete prendetemi sul serio, molto sul serio, sventolando la bandiera degli interessi e della sicurezza americana. In estrema sintesi, America first, per l’appunto.

La cattiva notizia, ma ce ne è anche una pessima, è che le misure adottate in questo primissimo scorcio di Amministrazione in un modo anche troppo sbrigativo, hanno suscitato una marea di reazioni critiche e di manifestazioni di protesta un po’ in tutto il mondo, principalmente in quello occidentale. Perché giudicate, ora discutibili, ora marcate da un’odiosa arroganza, ora inaccettabili in quanto discriminatorie e magari controproducenti rispetto gli obiettivi perseguiti.

Pensiamo al decreto sulla costruzione del col Messico (in realtà iniziato da Clinton e proseguito da Obama senza particolari proteste). Pensiamo al modo volutamente sprezzante col quale Trump – un tweet che recitava “se il Messico non è disponibile a pagare per il muro è meglio cancellare il nostro incontro a Washington” – ha di fatto costretto il Presidente messicano Nieto a cancellare la sua visita negli USA.

Oppure alla revisione del NAFTA (l’accordo di libero scambio commerciale del 1993 tra USA Canda e Messico) che Trump ha annunciato in temibile sequenza con il decreto di abbandono del T.P.P., l’accordo di libero scambio con ben 11 paesi affacciati sul Pacifico E poco conforta gli europeisti il fatto che non abbia offerta alcuna stampella anti-Unione europea alla Premier britannica May che senza attendere neppure l’avvio del negoziato BREXIT aveva pontificato sul futuro ruolo mondiale del binomio Londra-Washington.


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Trump le ha preso la mano, è vero, ma solo per scendere i gradini della Casa Bianca, non certo per condividere ruoli e destini dei due paesi sullo scenario internazionale. E’ Londra che si deve allineare, ha fatto capire, confermando che per lui sono i rapporti di forza e di convenienza il fattore discriminante; almeno in questa fase di esordio del suo mandato e di presentazione del suo biglietto da visita, all’interno e sul piano internazionale. Dove campeggia il suo America first, il suo “fare l’America più grande”.

Più grande e, naturalmente, “più sicura”, proteggendola dalla minaccia del terrorismo. In quest’ottica, mentre ha dato alle sue strutture un tempo molto stretto (un mese!) per condurre le verifiche di carattere tecnico-militare e di intelligence necessarie per pianificare la “distruzione” delle forze del terrore; e mentre ha avviato un articolato programma di contatti volti a porre a fuoco alleanze e convergenze utili allo scopo, dalla Russia all’Egitto alle monarchie del Golfo (un’ora di telefonata con il re saudita)alla stessa NATO, ha messo nero su bianco una misura immediatamente operativa: il decreto di blocco dei visti di ingresso per i rifugiati (120 giorni per tutti salvo che per i siriani rimasto senza scadenza perché “dannoso per gli interessi del paese”) e di 90 giorni per i cittadini provenienti da Iran, Iraq, Libya, Somalia, Syria and Yemen.


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Il tempo necessario, ha detto, per predisporre la declinazione delle informazioni e degli accertamenti attraverso i quali setacciare le future richieste di ingresso degli uni e degli altri. Tracciando una linea di separazione tra gli stessi paesi islamici foriera di derive imprevedibili al momento La cronaca ci racconta delle penose vicende di migliaia di passeggeri già in volo o in procinto di partire e del caos provocato in decine di aeroporti così come ci dà conto delle vibranti proteste che hanno attraversato l’America dove esso è stato visto come la negazione delle fondamenta stesse della società americana oltre che del più elementare livello di rispetto dei diritti umani e dove ben 16 Procuratori vi si sono opposti denunciandone l’incostituzionalità (peraltro non eccepita per l’analoga misura adottata per 6 mesi nei riguardi dei rifugiati dall’Iraq da parte di Obama). Reazioni duramente critiche dal Segretario generale dell’ONU e recriminazioni un pò in tutto il mondo, grandi assenti Cina e Russia.

Anche in Europa che certo non può dare lezioni a nessuno e da dove Trump può anzi sostenere di aver tratto e trarre ispirazione, purtroppo. Il decreto di Trump è stato stigmatizzato anche dall’ Organizzazione della cooperazione islamica (57 Stati) non solo per la sua natura selettivamente discriminatoria ma anche perché destinata inesorabilmente a dare ossigeno alla narrazione radicale dell’estremismo e ai propugnatori della violenza e del terrorismo.

Agli opposti estremismi, direi io, del terrorismo islamista e dell’islamofobia. E questa è la notizia pessima cui ho fatto riferimento prima. L’attentato a Quebec city – che Trudeau il Premier simbolo dell’accoglienza ha definito “un atto terroristico contro i musulmani” suona come un funesto monito. Speriamo che non sia anche un tristo presagio. L’Europa è la più esposta, e pericolosamente, Italia in testa: perché ha i piedi nel centro del disordine medio-orientale che è brodo di coltura dell’estremismo, perché è percorsa da un gelido vento che sta gonfiando le vele dello scontro; perché sembra quasi cedere, per insipienza, per mediocrità, alle sirene di un fatalistico disarmo.

Pessimista? No realista e voglioso di veder sventolare la bandiera di una Europa first piantata nel terreno dei valori di civiltà e di convivenza che ci ha consegnato la sua storia.

Armando Sanguini


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Armando Sanguini è stato Ambasciatore della Repubblica Italiana:

 

Direttore generale relazioni culturali
Direttore generale Africa
Capo missione in Cile Tunisia e Arabia saudita


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