di Antonino Pellitteri
Una breve riflessione partendo da alcuni dati storico-culturali
Scriveva Jean Sauvaget (m. 1950), uno dei grandi specialisti europei di storia dell’islam, a proposito di Aleppo, che l’accademico del Collège de France considerava “sa ville”: “Il n’est nullement exagéré de prétendre qu’on est là devant une de plus anciennes villes du monde et qu’aucune localité encore habitée et florissante ne peut s’enorguellir d’un passé historique comparable au sien” (<Halab>, Encyclopedie de l’Islam). Era il tempo che vive e non le rovine della morte che Sauvaget prendeva in considerazione. Era ciò che i gruppi armati jihadisti di al-nusra e delle altre sigle definite “moderate” non hanno considerato a Aleppo.
Guardare alla storia di Aleppo, Halab in arabo, dal nome ittita Khalab, significa entrare nella profondità della sedimentazione dei tempi della storia stessa. Solo a partire dal 637 dell’era cristiana Aleppo entra a far parte del mondo dell’islam e dell’arabismo, dopo essere stata grande città ittita della regione oggi nel Nord della Siria (dal XX sec. avanti cristo), macedone, ellenistica e romana, bizantina e infine musulmana. Nota con l’epiteto di al-Shahba’ (sorta di stella luminosa), Aleppo è stata fin dall’antichità incrocio dell’importante area comunicante tra la Cilicia (oggi in Turchia), l’Egitto e la regione mesopotamica; stazione della via della seta tra Occidente ed Oriente; principale snodo delle carovane che in epoca ottomana, a partire dal sec. XVI, trasferivano merci, e non solo merci, dal Golfo persico e Oceano indiano al Mediterraneo. Non a caso uno dei principali caravanserragli stranieri presenti a Aleppo era quello dei veneziani, noto col nome di Khan al-Banadiqa. Nell’ultimo periodo ottomano, quello delle modernizzazioni o riordinamento benefico (tanzimat-i khayriyye) dalla metà del sec. XIX, Aleppo e la sua provincia (wilaya), di cui erano parte Antiochia e Alessandretta sul mare Mediterraneo, sono state scelte dalla Sublime Porta quali sedi di sperimentazione moderna dal punto di vista sociale ed economico. La stazione ferroviaria di Aleppo, costruita nell’ambito del percorso ferroviario Berlino-Baghdad, divenne la principale stazione del Vicino Oriente nel 1912.
Quando 4 anni fa, nel quadro della cosiddetta rivoluzione siriana iniziata nel marzo del 2011, la grande città della Siria del nord venne presa ed occupata dai gruppi jihadisti e terroristi, dominati dal fronte al-nusra, e dalla opposizione armata in cui a prevalere erano i gruppi islamisti e la fratellanza musulmana, sostenuti dall’Occidente, dalla Turchia e dal Qatar, e poi anche dall’Arabia saudiana. Gli occupanti, mano d’opera e leadership, avevano poco dimestichezza o non conoscevano affatto la storia della città. I gruppi armati takfiriyya composti da molti combattenti senza adeguata formazione scolastica, provenienti da paesi del mondo arabo, all’inizio in massima parte tunisini e libici, e dalla lontana Cecenia, non immaginavano che cosa potesse significare in termini socio-culturali la profonda sedimentazione dei tempi della storia. Avevano scarse conoscenze della composita realtà socio-economica della città, che non poteva essere divisa tra orientale ed occidentale; non avevano idea delle attive e laboriose comunità cristiane orientali che da prima dell’islam abitavano nella grande città del Nord. A sua volta capitale, nel Nord della Siria, Aleppo era considerata dagli occupanti semplicisticamente il contro altare di Damasco. Sicché bastava appropriarsene, per dividere la Siria tra un Nord ribelle e Damasco di al-Asad e far crollare Damasco e il suo regime. Una vera follia è stato disconoscere la geografia ed i processi storici, e la cosa è costata purtroppo morte, distruzione e rovina. I protagonisti di questa tragica avventura non possono essere accusati di avere manipolato la storia, poiché le loro conoscenze approssimative si fondavano sulla ignoranza dei fatti storici. Erdogan parlava per esempio di impero ottomano, come a molti è noto. Ma come poteva immaginare il presidente turco e nuovo sultano che Aleppo potesse diventare capoluogo di una striscia settentrionale della Siria, tagliata fuori dalla Turchia e dalla stessa Siria?
Quando dopo il primo conflitto mondiale venne fatto crollare l’impero ottomano (Sykes-Picot, 1916), furono Aleppo e la sua società a subire i maggiori contraccolpi tra le città della Siria in fatto di crisi economica e sociale. La formazione degli Stati nazionali delimitò Aleppo all’interno di confini che ebbero un ruolo punitivo: la stessa regione di Antiochia e di Alessandretta, sbocco di Aleppo nel mar Mediterraneo, venne ceduta nel 1938 dalla Francia alla nuova Repubblica turca. Aleppo del commercio internazionale e dell’industria, Aleppo crocevia perse molto della floridezza del recente passato, a favore della sua rivale del centro-sud, Damasco. Bisognerà attendere gli ultimi decenni e l’apertura della Siria alla Turchia, perché Aleppo torni a ritrovare il suo ruolo importante nell’area economica e socio-culturale che la circonda, soprattutto negli anni di presidenza di Bashar al-Asad e dell’apertura economica tra Siria e Turchia voluta dallo stesso giovane presidente siriano. Aleppo vive se è aperta e unita, muore se si chiude e si divide. E’ ciò che racconta la sua storia fin dall’antichità, e che ribadisce la geografia della regione. E’ cosa che sanno bene i suoi abitanti e i ceti laboriosi, ma che non sapevano i gruppi armati che hanno occupato la città, dividendola tra una parte occidentale e una parte orientale, quella antica “ribelle” e assediata dall’esercito siriano. La parte che conserva i segni della storia aleppina, quella dell’islam e delle antiche chiese cristiane, dalla grande moschea degli Umayyadi, alla cittadella, ai quartieri antichi in cui la composita società di Aleppo si muoveva senza spirito fazioso e settarismo. Tanto che nel dicembre del 1877, a proposito della riforma elettorale emanata dalle autorità ottomane a Aleppo, all’indomani della promulgazione della prima Costituzione liberale ottomana, scriveva uno dei grandi intellettuali musulmani e riformatore aleppino, ‘Abd al-Rahman al-Kawakibi (1853-1902) sul giornale al-Shahba’ da lui fondato: “Riguardo alla legge sulle elezioni dei rappresentanti al Consiglio comunale, si è convenuto che la composizione dei membri deve essere mista con l’accordo delle varie parti religiose e dei vari quartieri, rispettando la percentuale degli abitanti ed affermando la necessità di eliminare la dizione musulmano e non musulmano, a favore del comune sentire e superando anche i tradizionali vincoli etnico-confessionali.” (cfr. A. Pellitteri, ‘Abd al-Rahman al-Kawakibi. Nuovi materiali bio-bibliografici, Quaderni di Oriente Moderno, IPO Roma 1996).
Sono tanti i motivi che hanno portato l’esercito arabo di Siria e i suoi alleati alla vittoria durante la battaglia per la liberazione di Aleppo. Basti citarne due tra gli altri: 1) la divisione all’interno dei gruppi armati del jihadismo; 2) la nuova posizione della Turchia nei riguardi della Siria e l’accordo con Russia e Iran. Ma c’è una ragione che sta alla base del successo dello Stato siriano e del suo esercito. E’ il dato storico, è la coscienza della gente di Siria di appartenere a questa o a quell’altra comunità particolare, ma al contempo di essere parte di una grande comunità, forgiatasi unitariamente nella sedimentazione dei tempi della storia, ad Aleppo come nel resto di quel paese arabo. E’ ciò che ha impedito fino ad ora all’Occidente di ripetere in Siria, a partire dal 2012, altri e più disastrosi scenari, come quello libico.
Qualcuno ha definito Aleppo la Stalingrado siriana, evocando momenti della resistenza al nazifascismo. Non so se il paragone sia praticabile, ma so che Aleppo liberata e riunificata rappresenta una grande lezione, è la lezione della storia.
Antonino Pellitteri è un docente dell’Università di Palermo e l’ Università la Sapienza di Roma, è un esperto nel campo della Storiografia e cultura del Mondo arabo-islamico moderno e contemporaneo.