Si è conclusa nei giorni scorsi la visita in Giappone del presidente russo Vladimir Putin al suo omologo, il primo ministro giapponese Shinzo Abe. L’ultima visita di Putin in Giappone risaliva a 11 anni fa mentre Abe si era recato a Sochi il 6 maggio 2014.
La visita è stata preceduta da un intenso lavoro preparatorio inteso ad attenuare i contrasti esistenti tra i due paesi per la disputa territoriale sulle isole Kurili. Si sperava che il dialogo tra Putin e Abe potesse aprire un nuovo capitolo nelle relazioni tra i due paesiper sottoscrivere una pace lungamente attesa. Di fatto e di diritto, Russia e Giappone da ormai oltre 70 anni, dal 1945 a oggi, non hanno formalizzato tra loro un accordo di pace. Nonostante le attese l’incontro non ha prodotto nessuno dei risultati sperati.
Clima disteso, acque calde –Al termine del primo giorno della visita – svoltosi il 15 dicembre a Nagato, città natale del premier giapponese – i due presidenti si sono espressi dinanzi le telecamere in termini fiduciosi sul futuro della cooperazione tra i rispettivi paesi. All’invito rivoltogli dal primo ministro giapponese di usufruire dei bagni termali di Nagato, per scaricare lo stress di una lunga giornata di negoziazioni, il presidente Putin ha risposto ringraziandoper la gentile offerta e sottolineando, in tono ironico, che prima di ricorrere alle acque calde “sarebbe meglio non stancarsi troppo”. La battuta lasciava intendere l’esistenza di sfumature di contrasto tra le posizioni dei rispettivi paesi, che sono poi emersein occasione della redazione della dichiarazione congiunta sull’esito della prima giornata di incontri.
Nel secondo e ultimo giorno della visita, svoltosi nella capitale giapponese, i due leader hanno incontrato un significativo numero di imprenditori al forum economico Russo-giapponese. Anche in questo caso, dietro le parole di cortesia sono emerse sfumature di contrasto. Abe ha infatti insistito per un impegno comune a dialogare ma, tuttavia, ha sottolineato che il percorso verso il traguardo della pace rimane “lungo e difficoltoso”. Putin, ringraziando per il caloroso benvenuto ricevuto, ha tenuto però a sottolineare che per effetto delle sanzioni internazionali alla Russia, cui il governo giapponese ha aderito, il commercio tra i due paesi ha subito nei primi sei mesi del 2016 una flessione del 28%. Putin ha, infine, espresso l’invito al premier giapponese Abe a ricambiare la visita ed a partecipare alle iniziative dell’Unione Economica Euro-asiatica. Entrambi gli inviti possono essere letti l’intenzione russa di proporre al Giappone una via alternativa all’alleanza con gli Stati Uniti o, diversamente, per cercare di far vacillare i rapporti tra Tokyo e Washington. In realtà, Tokyo potrebbe voler diversificare le proprie alleanze ed ampliare i propri margini di manovra ma, stante gli intrecci finanziari con gli Stati Uniti e la presenza di basi militari americane sul proprio territorio, è un’alternativa che non può attualmente permettersi.
Nonostante il contenuto di numerosi memorandum d’intesa, accordi di cooperazione di ampio respiro e la volontà dichiarata di restaurare la formula di incontri nel formato “2+2” tra i rispettivi ministri degli Esteri e della Difesa, l’incontro è stato descritto da molti osservatori come un vero fallimento. In effetti, se l’aspettativa era il superamento della disputa territoriale sulle isole Kurili e l’avvio di negoziati di pace l’incontro non può essere qualificato diversamente.
Le isole Kurili –Le isole Kurili rimangono lo scoglio principale per il raggiungimento di un equilibrio di pace. Nell’Oceano Pacifico settentrionale, al Nord dell’isola giapponese di Hokkaido e a Sud della penisola russa della Kamčatka, si trova l’arcipelago delle isole Kurili. Si tratta di una catena di 60 isole di origine vulcanica, in maggioranza di piccole dimensioni, lunga circa 1,300 km e con per una superficie di poco più di 10.000 km² che separa il Pacifico settentrionale dal Mare di Ochotsk. Su un totale di 60, tra isole e scogli, soltanto 8 sono le isole abitate. La popolazione stimata intorno alle 18 mila persone, di etnia mista tra nativi asiatici e migrazione europea di origini ucraine e bielorusse, si concentra e distribuisce tra le isole maggiori di Paramushir, Urup, Kunashir e Iturup, quest’ultima a maggioranza etnica ucraina.
Situate sul margine esterno della placca continentale asiatica dove l’Oceano si inabissa sino a una profondità massima di 10.000 metri le isole Kurili si trovano geograficamente a un passo dall’abisso. Di fatto, la Fossa delle Kurili su cui le isole si affacciano rientra, insieme alla Fossa delle Marianne, tra le “vette” oceaniche più profonde del pianeta, e l’intera area risulta fortemente esposta al rischio di terremoti e tsunami di notevole intensità. In vista dell’apertura in un prossimo futuro delle rotte commerciali attraverso lo Stretto di Bering tra Russia e Alaska, le isole Kurili potrebbero assumere una nuova dimensione strategica. Attualmente, l’attività economica principale è la pesca ma non è da escludere che la presenza di risorse minerali possa aggiungere alla rilevanza strategica dell’arcipelago un maggiore interesse economico.
Un mare di dispute –Non è raro nel mondo delle relazioni internazionali che le parti in una disputa territoriale attribuiscano terminologie diverse al bene conteso per legittimare le proprie pretese di sovranità su di un sostegno storico e culturale.Nel caso delle isole Kurili, i russi le chiamano Kuril’skie ostrova, i giapponesi Chishima rettō. Tokyo rivendica le isole di Kunashir, Shikotan, Habomai e Iturup in quanto facenti parte dei “territori del Nord”. Al contrario, Mosca in un’ottica unitaria chiama gli stessi territori isole Kurili del “Sud”, entrambe sostenendo così che si tratti di territori compresi nell’ambito dei loro confini naturali.
La linea di confine russo-giapponese lungo le isole Kurili ha subito sin dal XIX secolo numerose modifiche in quello che il presidente Putin ha definito un “ping-pong storico”. Se ci limitiamo alla storia più recente, dalla fine della seconda guerra mondiale le isole Kurili sono di sovranità russa, in quanto Stalin, in cambio dell’ingresso in guerra contro il Giappone nell’agosto 1945, ottenne dal presidente Roosevelt a Yalta, nel febbraio dello stesso anno, il consenso per avanzare la sovranità sovietica lungo la catena delle Kurili e fare così pressione sull’impero del Sol levante affinché, accerchiato, si arrendesse. Il Giappone si arrese il 2 settembre 1945, dopo il lancio da parte degli Stati Uniti di due bombe atomiche, rispettivamente su Hiroshima (6 agosto) e su Nagasaki (9 agosto).
Gli Stati Uniti guidati dal generale MacArthur occuparono le isole maggiori giapponesi e da allora il Giappone, il suo sviluppo e la sua sicurezza, sono stati legati alla “relazione speciale” con Washington. Dagli anni della guerra fredda, il Giappone rappresenta, insieme all’isola di Formosa, la linea di confine del contenimento americano per negare alle potenze asiatiche l’accesso alle rotte marittime. Il possesso delle isole Kurili insieme all’isola di Sakhalin permette potenzialmente alla Russia di negare l’accesso al Mare di Ochotsk, facendo di quest’ultimo un mediterraneo russo. Dalla sovrapposizione dei confini politici alla realtà geografica emerge evidente, nell’ottica giapponese, la problematica vicinanza tra le linee di confine attuali.
Le isole ci sono, l’accordo no – Riguardo alle isole Kurili, Mosca non riconosce l’esistenza di alcuna disputa perché ciò metterebbe in discussione quanto il Cremlino e l’apparato militare russo (la Marina in particolare) non sono disposti a discutere, ovvero la sovranità russa sulle isole. Nei confronti delle rivendicazioni giapponesi, Putin ha adottato una politica del bastone e della carota: mostrando a Tokyo la propria determinazione a difendere le isole anche con l’uso della forza militare, il bastone, e facendo seguire ogni minaccia con dichiarazioni distensive, la carota.
Una linea di condotta simile ma con strumenti diversi ha adottato Abe. Il Giappone infatti non possiede un bastone in grado, senza potenti alleati alle spalle, di spaventare l’Orso russo.
Solo negli anni più recenti il Giappone ha adottato una serie di provvedimenti legislativi che in presunta violazione dell’art. 9 della Costituzione giapponese del 1947 forniscono una base giuridica alla politica di riarmo. Spesso per questo motivo il Giappone è stato definito un “gigante economico ma un nano politico”. Nel contesto attuale il Giappone si trova nella scomoda posizione di dover gestire una difficile congiuntura economia, un debito pubblico legato ai destini del dollaro e una curva demografica negativa. Rischia, inoltre di rimanere – vittima della maggiore assertività sull’Oceano Pacifico del Dragone cinese – escluso o fortemente ridimensionato dalle principali rotte commerciali marittime. Questo è un costo che il Giappone, paese insulare al largo della massa continentale eurasiatica, non può permettersi di sostenere. Le isole giapponesi infatti hanno bisogno di un constante afflusso di materie prime per mantenere gli attuali standard di produzione, consumo e spesa pubblica.
In parallelo, dal punto di vista della sicurezza Tokyo deve ancora fare affidamento sull’alleato americano per restare ai vertici della politica internazionale. Abe è stato il primo leader a incontrare il neo presidente eletto Donald Trump nella dorata residenza nella Trump Tower nel centro di Manhattan. Il 7 dicembre scorso, Abe ricambiando la visita del presidente Obama a Hiroshima nel maggio scorso, si è recato in una visita storica a Pearl Harbour per onorare la memoria delle vittime dell’attacco a sorpresa che Tokyo sferrò contro gli Stati Uniti nel 1945 provocandone l’ingresso nel secondo conflitto mondiale. Ciò nonostante, fare intendere di avere potenti alleati non compensa per la mancanza di potenti strumenti. Infine un po’ di carota: pochi giorni prima dell’incontro con Putin, Abe ha fatto sapere di voler donare un cane di razza Akita al presidente russo, sperando di fargli cosa gradita. Putin, nonostante abbia apprezzato il gesto, ha rifiutato l’offerta ma la retorica del cane e l’allusione alle sue qualità da parte del presidente russo è stata più volte evocata prima e durante la visita in Giappone.
Tenuto conto chel’incontro si è risolto in un sostanziale nulla di fatto, rimane da verificare lo sviluppo nella pratica delle buone intenzioni dichiarate. La Russia continuerà a fare la guardia alle isole Kurili sulle quali per ora si è arenata la pace.
Giorgio Grosso