L’assedio di Aleppo: le strategie dei principali attori nel conflitto siriano


ALEPPO, SYRIA - OCTOBER 12: Collapsed buildings are seen after the war crafts belonging to the Russian Army carried out airstrike on a residential area in Aleppo, Syria on October 12, 2016. It is reported that dead and wounded after the attack.  (Photo by Jawad al Rifai/Anadolu Agency/Getty Images)

Tregue violate. Piogge incessanti di bombe. Centinaia di migliaia di cittadini inermi e intrappolati nel mezzo del fuoco incrociato. Aleppo oggi.

La città di Aleppo, un tempo, era il centro economico e finanziario più popolato della Siria. Oggi è il campo di battaglia di una guerra civile incessante, logorante, con molte fazioni in lotta. I quartieri orientali della città, oggi controllati dalle forze ribelli, dove vivono circa 275.000 civili, vengono cinti d’assedio dall’esercito di Assad, con scarse possibilità di fuga della popolazione e con i ribelli che combattono per la loro sopravvivenza.

Aleppo ad oggi è divisa in tre aree controllate da distinte fazioni:

  1. La parte nord, ovest e sud sotto il controllo delle forze governative leali ad Assad supportate dalle milizie Hizbullah libanesi, dai Pasdaran iraniani e dall’Aviazione russa;
  2. I distretti nella parte centro-est di Aleppo, controllati dalle forze ribelli, nelle cui fila militano sia forze moderate e islamiste sostenute militarmente e finanziariamente dall’Occidente, che forze jihadiste-salafite come il gruppo Jabhat Fatah al-Sham, già noto come Jabhat al-Nusra ( espressione di al-Qaeda in Siria), che ha interrotto i rapporti di collaborazione-dipendenza con al-Qaeda nel mese di luglio.[1]
  3. L’area limitrofa ad est di Aleppo, nelle mani dello stato islamico, che estende il proprio controllo in una fascia del Nord Est della Siria fino a Raqqa.

L’assedio della parte est della città di Aleppo ha origine nel febbraio scorso quando la coalizione pro Assad è riuscita a tagliare la strada A’zaz-Aleppo, così sottraendo ai ribelli dei quartieri orientali di Aleppo una delle loro principali vie di rifornimento. Contemporaneamente finiva l’assedio dei ribelli ai villaggi sciiti di Zahra e Nuhbul. A metà luglio toccò ai quartieri orientali di Aleppo ad essere assediati dopo che l’esercito siriano, in collaborazione con le milizie curde dello Ypg, ebbe preso il controllo della “strada del Castello”. Una settimana dopo una controffensiva ribelle nel Sud-Ovest di Aleppo riuscì ad aprire una breccia, il “corridoio di Ramusa”. Ma fu solo una vittoria simbolica poiché il corridoio aperto dai ribelli era troppo stretto per ricevere rifornimenti. Essa mirava soprattutto a impedire un riavvicinamento fra Russia e Stati Uniti. Il Fronte al-Nusra , leader della coalizione, aveva annunciato la sua rottura con al-Qaeda all’inizio dell’offensiva , ma non risultò credibile agli occhi dell’Occidente che ritenne la scelta puramente di natura tattica. Il successo è stato di breve durata, perché il primo settembre il corridoio di Ramusa è stato ripreso grazie agli intensi bombardamenti dell’aviazione russa, i rinforzi per le milizie sciite provenienti dall’Iraq e le forze speciali di Hizbullah.[2]

L’ultimo mese ha visto un intensificarsi degli attacchi da parte dell’esercito siriano e dell’aviazione russa, che hanno colpito anche obiettivi civili come scuole e ospedali. Inoltre le pause umanitarie non sono state rispettate sia da una parte che dall’altra. Gli Stati Uniti, con la cooperazione delle Nazioni Unite, rappresentate in Siria da Staffan de Mistura, hanno fallito nel separare le forze ribelli moderate dai jihadisti del Fronte di Al-Nusra, mentre la Russia è accusata di avere abbattuto un aereo di aiuti umanitari delle Nazioni Unite.

Gli scorsi giorni hanno invece visto protagonisti i ribelli rispondere al fuoco nemico, lanciando una quantità di razzi verso le postazioni dell’esercito siriano nella parte ovest di Aleppo, e verso le aree attorno alla base russa di Latakia, tentando di spezzare l’assedio ad Aleppo est.

La fazione di Arhat al-Sham facente parte del “Fronte Islamista Ribelle” ha colpito l’aeroporto di Aleppo con decine di missili Grad, mentre i qaedisti di Fatah al-Sham hanno mandato alcuni kamikaze su delle auto-bomba verso le postazioni nemiche.

Ad Aleppo est in questi giorni c’e’ una “chiamata generale a chiunque sia in grado di imbracciare un’arma” lanciata dai vertici del Free Syrian Army, ala “moderata” dell’opposizione siriana. La resistenza ad Aleppo est, appare molto serrata e in questi giorni, Stati Uniti e Russia appaiono sempre più distanti nel negoziare accordi di pace.

La battaglia di Aleppo costituisce il fulcro delle sorti del conflitto siriano dove confluiscono distinti attori divisi in blocchi e con strategie differenti. Al fine di delineare possibili scenari post conflitto è utile elencare quattro variabili geopolitiche che condizionano il conflitto siriano: 1. Le strategie regionali di Russia e Iran; 2. Il successo militare di Bashar al-Assad; 3. Le relazioni tra Turchia e Russia; 4. Le possibili strategie in Siria degli Stati Uniti dopo le elezioni.

1.Le strategie regionali di Russia e Iran

L’intervento russo in Siria si inscrive in una geopolitica globale di restaurazione della potenza di Mosca al di là dello spazio post-sovietico e di riequilibrio dei rapporti di forza internazionali a svantaggio degli Stati Uniti in un’area nella quale tutti vorrebbero disimpegnarsi.[3] Il successo di tale politica dipende dalla vittoria militare sul terreno che potrebbe essere possibile solo con la collaborazione militare dell’Iran, il negoziato con la Turchia e il lassismo degli Stati Uniti.

L’obiettivo principale della Russia è di accerchiare la Turchia, costringendola a collaborare, per influenzare successivamente l’Arabia Saudita, che resta il regolatore mondiale del corso dei prezzi petroliferi. L’obiettivo finale di Putin infatti è quello di far alzare nuovamente il prezzo del petrolio per far funzionare la sua economia e sostenere le sue ambizioni geopolitiche. L’accerchiamento russo della Turchia, importante crocevia energetico emergente, l’obbligherà ad accettare le condizioni di Putin.

L’Iran condivide con la Russia gli stessi interessi in campo energetico. Il graduale superamento delle sanzioni economiche grazie all’accordo internazionale sul nucleare gli deve permettere di esportare più idrocarburi. Ma è necessario che il mercato possa assorbire la sua produzione senza subire un’altra caduta dei prezzi. Per questo deve obbligare l’Arabia Saudita e gli altri paesi del Consiglio della Cooperazione del Golfo a ridurre la loro produzione. La sola cosa che potrebbe far ripartire il mercato al rialzo sarebbe una seria crisi politica in Arabia Saudita, che ne ridurrebbe la produzione, e Teheran dispone degli strumenti necessari a produrre un tale incidente.

In Siria la Russia e l’Iran hanno bisogno l’una dell’altro. L’Iran controlla fra i 40 mila e i 60 mila combattenti sciiti, indispensabili a lanciare le offensive sul terreno. La Russia dispone di una potenza aerea che offre vantaggio decisivo alle truppe di terra. La prova è la battaglia di Aleppo, dove le milizie sciite, i pasdaran iraniani e l’aviazione russa sono complementari.

Sul piano territoriale, la Russia è interessata alla regione costiera ( Ovest ) per installarvi basi militari e al Nord per accerchiarvi la Turchia grazie ai curdi. L’Iran vuole controllare la frontiera libanese ( Sud-Ovest ) per continuare a rifornire di armi le truppe di Hizbullah.

2. Il successo militare di Bashar al-Assad

Grazie all’intervento russo, il regime di Bashar al-Assad ha ripreso fiducia dopo le disfatte della primavera del 2015, quando aveva perso Idlib e Palmira. Le conquiste territoriali dell’esercito di Damasco sono modeste ( meno del 2%) ma molto strategiche. La regione alauita e le sue basi russe sono ormai al sicuro, e le enclavi intorno Damasco vengono progressivamente eliminate, come Daraya e la Guta, dove al regime è stato ufficialmente imputato recentemente, nel rapporto ufficiale delle Nazioni Unite, l’uso di armi chimiche nei confronti della popolazione.

Più complicata la battaglia di Aleppo, dove i ribelli continuano a ricevere rifornimenti dalla Turchia, occupando una zona urbana di circa 20 chilometri quadrati nella quale si trovano 275.000 civili. Lanciare un’offensiva di terra è al momento impossibile. Si dovrà dunque attendere che i ribelli si rassegnino a negoziare, nel momento in cui non riceveranno più rifornimenti dall’esterno. La conquista di Aleppo per Assad è fondamentale perché taglierebbe i contatti con il nord-ovest del paese, a Latakia e Idlib, dove i ribelli sarebbero stretti tra i curdi, Assad e lo Stato Islamico a Raqqa. Ma l’obiettivo principale di Assad è quello di conservare il potere dopo il conflitto, infatti i primi obiettivi colpiti sono quelli dei ribelli moderati, allo scopo di affermarsi , agli occhi dell’Occidente e in ottica di lotta al terrorismo globale, come l’unico attore che può sconfiggere i jihadisti di al-Nusra e dello Stato Islamico in una seconda fase del conflitto siriano

3.Le relazioni tra Russia e Turchia

Il presidente turco Erdogan ha avvertito il pericolo rappresentato per il suo paese dall’intervento russo in Siria. Ma non può né vuole affrontare direttamente la Russia. Preferisce usare il suo potere di interdizione per mezzo dei ribelli siriani. Erdogan spera di ristabilire l’equilibrio nei negoziati con Mosca, considerando che Putin dispone di alcune leve efficaci nel rapporto con la Turchia.

Sul piano economico il progetto turco di crocevia energetico è ormai completamente rimesso alla benevolenza del presidente russo che controlla gli accessi del gas russo in territorio turco: South Stream, Btc e Nabucco potranno diventare realtà solo quando i rapporti tra i due paesi si saranno normalizzati. Tuttavia la questione sui curdi siriani divide Mosca da Ankara.

Putin sostiene che il nazionalismo curdo in Siria sia un processo inarrestabile, ed il suo obiettivo è quello di ricongiungere le città curde di Afrin e Kobani, nel nord della Siria, ciò che gli Stati Uniti non possono loro permettere perché significherebbe la rottura con la Turchia, membro Nato. Invece Putin può fornire ai curdi supporto aereo e il riconoscimento ufficiale del Rojava.

La Turchia infatti è intervenuta militarmente in Siria, proprio per impedire che le due città di Afrin e Kobane si ricongiungessero, ma Erdogan e Putin, pur non fidandosi l’un l’altro possono trovare un modus vivendi e accordarsi sulle rispettive sfere d’influenza in Siria.

4.Le possibili strategie in Siria degli Stati Uniti dopo le elezioni.

Il processo avanzato del conflitto siriano con sempre più attori in campo e la nascita dello Stato Islamico in Siria, sono sicuramente frutto di una politica eccessivamente passiva e lassista degli Stati Uniti negli ultimi cinque anni. La politica Obamiana del “don’t do stupid stuff”, ha determinato l’ingresso in campo di Russia ed Iran nel conflitto e l’emergere di al-Qaeda e dello Stato Islamico dall’altro, nonché il rafforzamento di Bashar al-Assad in Siria che, come è stato accertato, ha fatto uso di armi di distruzione di massa e operato crimini di guerra e contro l’umanità.

Adesso che il timone passerà a breve ad uno fra Donald Trump o Hilary Clinton è utile delineare la posizione dei due candidati.

Donald Trump sostiene che le sorti del conflitto siriano dipendano dagli accordi tra Stati Uniti e Russia nella sconfitta dello stato islamico, ma trascura il fatto che la Russia è ormai complice delle atrocità commesse dal regime di Assad nei confronti della popolazione, il cui ultimo effetto è quello di rafforzare lo stato islamico.[4]

Hilary Clinton, ha indicato che è necessario invece stabilire una No-Fly Zone per impedire i raid sui civili e sui ribelli e lo stabilimento di aree umanitarie per proteggere i civili, ma anche per armare i ribelli “moderati” che contrastino Assad e determinino le condizioni per degli accordi di pace e una fase di transizione in cui si ristabilisca un nuovo governo e si combattino i jihadisti. Tuttavia manca un piano preciso su chi governerà dopo Assad e come si debba combattere lo stato islamico a Raqqa.

Le variabili elencate determineranno gli esiti del conflitto siriano nel breve e nel lungo periodo, che al momento appaiono incerti ed imprevedibili.

 

Danilo Lo Coco

 

Bibliografia

[1]Nonostante il fatto che Jabhat al-Nusra sia stata dichiarata ufficialmente un’organizzazione terroristica, è verosimile che agli inizi della rivolta contro Assad nel 2011 l’organizzazione abbia usufruito degli appoggi finanziari e logistici forniti dagli Stati Uniti alle forze opposte ad Assad.

[2] F. Balanche, “Kurdish Forces Bolster Assad in Aleppo”, Washington Institute, 29/7/2016

[3] F. Balanche, “Geopolitique du Moyen Orient, Paris, 2014

[4] E. McMullin, “How to turn Things Around Syria”, in Foreign Policy, 31/10/2016, https://foreignpolicy.com/2016/10/31/how-to-turn-things-around-in-syria-evan-mcmullin-for-president/

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