Noi non temiamo i russi, temiamo i loro elicotteri (Osama Bin Laden 1983)
Oggi siamo abituati ad osservare gruppi terroristici paramilitari ,operanti maggiormente nel medioriente, come qualcosa di a se stante, che si addestra, si rifornisce tramite i propri contatti internazionali, e in totale autonomia sferra attacchi contro obiettivi civili e, occasionalmente, forze governative. Sanno maneggiare armi di vario genere, sanno guidare veicoli, e sono relativamente disciplinati.
La genesi, non del terrorismo in se, ma dell’organizzazione militaresca delle formazioni terroristiche è da ricercare nel 1979, più precisamente nel decennio in cui l’Unione Sovietica ha invaso l’Afghanistan. Il 24 Dicembre 1979, Leonid Breznev, dopo varie richieste all’Onu per imporre un cessate il fuoco nella guerra civile Afghana, decide di mobilitare l’armata rossa nel tentativo di puntellare il traballante regime comunista dell’RDA. Nell’arco di una notte reparti scelti di Spetsnaz ( forze speciali sovietiche) vengono paracadutati su edifici chiave del governo Afghano acquisendone il controllo, parallelamente gli istruttori militari russi, inviati anni addietro per addestrare l’esercito dell’RDA, riescono a neutralizzare il grosso dell’esercito governativo inviando i mezzi corazzati nelle rimesse con la scusa di inventari e manutenzioni.
Poco dopo viene assemblato cio’ che propagandisticamente verrà chiamato ” limitato contingente per l’Afghanistan”[1] composto da soldati di leva provenienti da repubbliche come il Kazakistan e il Tagikistan ( scelta non delegata al caso, dato che i sovietici volevano ingraziarsi il favore della popolazione inviando reggimenti di uomini da regioni culturalmente affini all’Afghanistan), il tutto inquadrato nella, creata per l’occasione, 40° armata. In aperto sfregio all’occidente, la notte della vigilia di natale, la quarantesima armata da il via all’invasione, riuscendo ad occupare nel giro di pochissimi giorni tutte le posizioni chiave del paese, compresa la stessa Kabul.
Ora, in uno scenario di guerra convenzionale, l’occupazione della capitale e delle strutture politiche vitali di una nazione coinciderebbe con la vittoria, ma nel caso Afghano non fu così. Ad iniziare già dal ’79 i sovietici commetteranno una lunga serie di clamorosi errori di valutazione che li porteranno nel giro di pochi anni al disimpegno. Non avranno mai l’effettivo controllo del territorio, perché, se è vero che da una parte l’armata rossa controllava Kabul e i principali centri urbani del paese, è altrettanto vero che le campagne ( quasi l’80% del paese ) rimanevano sotto controllo dei vari movimenti di guerriglia e resistenza sorti per contrapporsi all’invasore. Resistenza che si era consolidata già al tempo della guerra civile con la volontà di abbattere il governo filo sovietico Afghano. Passeranno alla storia come mujaheddin, o piu’ semplicemente, combattenti per la fede ( da non confondere con i successivi Taliban, studenti di teologia), si configurarono come il piu’ vasto e compatto (anche se non privo di divisioni tribali al proprio interno) movimento di resistenza.
E’ proprio sui guerriglieri che gli Stati Uniti punteranno tutto per scacciare i sovietici dal paese. E’ in questo frangente che si utilizzerà per la prima volta il termine Jihad, che si puo’ tradurre con un generico “sforzo” e non con il significato di guerra santa, dato a posteriori. Sotto la guida del repubblicano Charlie Wilson, in una parabola ascendente, gli USA destineranno, anno dopo anno, sempre piu’ risorse nell’addestramento e il riarmo di questi combattenti trasformandoli da un manipolo di uomini che si lanciavano a testa bassa, in groppa a cavalli, contro i carriarmati sovietici, ad una forza in grado di imbastire efficaci strategie di guerriglia e di disturbo dietro le linee russe. Il fulcro di queste operazioni sarà il Pakistan, dove la CIA, dopo aver stretto un vitale accordo con l’Egitto per la fornitura ai mujaheddin di armi sovietiche costruite su licenza (Il coinvolgimento americano era, ovviamente, fuori discussione) costruirà dei giganteschi campi di addestramento in grado di raccogliere volontari provenienti da tutto il mondo musulmano desiderosi di combattere la crociata contro il comunismo, ed è qui che assistiamo ad una convergenza di intenti fra guerriglieri islamici (fra cui un giovane Bin Laden) e governo statunitense, governo che trasformerà i combattenti per la fede in una forza non convenzionale in grado di infliggere gravose perdite ai russi. E’ bene tenere presente che l’esercito sovietico si configurava come forza militare addestrata sul piano della guerra convenzionale in vista di un possibile combattimento sul suolo europeo e mal si prestava alle gole, agli stretti passi di montagna, e alla carenza di strade tipiche dell’Afghanistan, ecco perchè un piccolo manipolo di uomini, con una buona conoscenza del terreno e addestrati all’uso di armi (soprattutto antiaeree, alla fine della guerra i russi dichiareranno l’abbattimento di ben 333 elicotteri) potevano riuscire a tenere sotto scacco forze meglio equipaggiate e numericamente più consistenti.
Il periodo che intercorre fra il 1985 e il 1989 è il periodo in cui i russi iniziano a cercare una strategia di uscita dal conflitto, soprattutto grazie al nuovo corso, varato con la Glastnost e la Perestrojca[2] di Gorbachev. A ritirata russa compiuta, già nell’89, l’Afghanistan sprofonderà nuovamente nella guerra civile e il paese sarà martoriato dal conflitto fra mujaheddin e talebani[3] in cui, come è ben noto, i talebani avranno la meglio trasformando il paese in una roccaforte di conservatorismo e fanatismo islamico. Gli USA dal canto loro non si premureranno di trovare un assetto post Russia all’Afghanistan, lasciandolo in balìa delle bande armate da loro stessi addestrate. Errore tattico che commetteranno anche nella seconda guerra del Golfo, quando, dopo la deposizione del Ra’is, Saddam Hussein, desiderosi di tagliare ogni continuità col passato, smobiliteranno l’esercito regolare iracheno sostituendolo con una nuova forza armata creata ad hoc[4], fedele ai nuovi principi democratici istillati nel paese. Il punto è che, migliaia di ex soldati di Saddam, che avevano militato nell’esercito per anni, si ritrovarono, di fatto, disoccupati e abbandonati, senza nessuna valida alternativa se non quella di unirsi ai movimenti radicali islamici creatisi come risposta all’invasione. ( non è un caso che le truppe USA subiranno la maggior parte delle perdite dopo il 2003, ufficialmente a guerra conclusa quindi, per mano di attentati terroristici, soprattutto autobombe, che avevano chiaramente la firma di chi era pratico nell’utilizzo di esplosivi e aveva chiaramente un passato nelle forze armate)
Si assiste oggi all’escalation del terrorismo nei paesi mediorientali, che ha avuto come input le primavere arabe che, col classico effetto domino, si sono propagate alla maggior parte dei paesi musulmani che si affacciano sul mediterraneo, alcuni paesi, come la Libia di Gheddafi, sono sprofondati nella guerra civile, altri, come la Siria di Assad, resistono soltanto perchè puntellati da potenze straniere. In comune hanno soltanto una cosa: La sorprendente efficacia con cui,i vari gruppi armati, ne hanno messo a repentaglio la stabilità. La summa perfetta di questo processo è l’auto proclamatosi stato islamico,che raccoglie in sè le varie esperienze maturate soprattutto in Afghanistan e in Iraq. Con un esercito apparentemente imbattibile, nel giro di poco le milizie del califfato sono riuscite a conquistare ampissime fette di territorio iracheno e siriano, colmando di fatto i grossi vuoti di potere lasciati o dal miope intervento occidentale con l’operazione Iraqui Freedom, o dalle guerre civili scoppiate come risposta all’autoritarismo dei governi libico e siriano, esercito che, da perfetta tigre di carta ( Per usare un linguaggio Mao Tse Tunghiano) ultimamente, privato dell’appoggio di alcuni partner internazionali, sta subendo un rovescio dopo l’altro mostrando la totale impotenza di fronte a nemici dotati di forze aeree. Assistiamo in queste ore alle offensive su Mosul e su Aleppo, città che sono ormai diventate sinonimo di crisi umanitarie e vessazioni sui civili, roccaforti del califfato e sul punto di crollare sotto l’incedere dell’esercito regolare iracheno, appoggiato dagli USA, o da cio’ che resta dell’esercito di Assad, affiancato dal supporto aereo russo. La conquista dei due centri urbani da parte di iracheni e siriani ormai è questione di settimane, forse anche giorni, ma, come per la guerra in Afghanistan, gli Stati Uniti ad oggi non hanno le idee ben chiare su come gestire un eventuale post Assad e divisi fra l’onere di essere l’unica super potenza rimasta e quindi di non potersi disimpegnare agevolmente dal conflitto e la ferrea volontà del non intervento diretto, continuano ancora oggi ad affidarsi, ad armare, a sobillare gruppi di ribelli, che inevitabilmente si trasformeranno nei nemici di domani.
Se volessimo analizzare la situazione da un punto di vista geopolitico avremmo da un lato gli USA desiderosi di abbattere il regime di Assad, per consolidare il proprio potere nella regione in funzione anti turca, anti iraniana e anti russa (ricordiamo che turchi e russi, in pieno disgelo dopo l’abbattimento del SU-24 nel Novebre 2015, hanno ripreso le trattative per il Turkish Stream[5], il gasdotto che dovrebbe soddisfare gran parte del fabbisogno di gas europeo, ponendo la Russia come principale partner energetico della regione)
Dall’altro una Russia che, in questo momento gioca la sua partita piu’ importante in Ucraina e porta avanti il suo braccio di ferro con la NATO, ma che di certo non rinuncia alla sua presa di posizione a difesa del suo unico sbocco nel mediterraneo, la base di Tartus, inviando una flottiglia composta dal fior fior della propria marina militare. (La sua unica super portaerei, la Admiral Kuznetsov affiancata dalla Pietro il grande, un incrociatore con capacità nucleari classe Kirov, piu’ una mezza dozzina di navi d’appoggio)[6]
E la situazione non potrebbe essere piu’ delicata, dato che gli Stati Uniti al momento non hanno giocato le loro carte essendo in pieno stallo per via delle elezioni, e con una probabile vittoria della Clinton, ossessionata dalla Russia, tanto quanto Trump lo è dalla Cina, non possiamo che aspettarci un inasprirsi dei rapporti fra i due vecchi, acerrimi, ma ben conosciuti nemici.
Fabrizio Tralongo
[1] “The bear went over the mountains: Soviet combat tactics in Afghanistan” Lester W. Grau.
[2]”Perestrojca” M. Gorbachev
[3] https://web.stanford.edu/class/e297a/Afghanistan,%20the%20United%20States.htm
[5] http://www.gazpromexport.ru/en/projects/6/
[6] https://www.rt.com/news/349279-russia-aircraft-carrier-syria/