Brevi considerazioni sull’elezione di António Guterres a Segretario Generale delle Nazioni Unite


 

NEW YORK, NY - OCTOBER 13: (L to R) Newly-elected United Nations Secretary General-designate Antonio Guterres and outgoing secretary general Ban Ki-moon shake hands during a photo opportunity at the United Nations (UN) headquarters October 13, 2016 in New York City. Guterres, a former prime minister of Portugal, will replace outgoing secretary general Ban Ki-moon starting in January 2017. (Photo by Drew Angerer/Getty Images)

1. Il 13 ottobre 2016, con risoluzione A/RES/71/4, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha nominato, per acclamazione, il nuovo Segretario Generale dell’Organizzazione, nella persona del portoghese António Guterres, che succederà al coreano Ban Ki-Moon a partire dal 1° gennaio 2017 e resterà in carica per cinque anni, salvo rinnovo del mandato. Questa elezione è particolarmente significativa, perché si inserisce nell’ambito del processo di rivitalizzazione del ruolo e delle attività dell’Assemblea Generale, secondo le indicazioni contenute nella risoluzione 69/321 dell’11 settembre 2015 (A/RES/69/321) e riprese nella successiva 70/305 del 13 settembre 2016 (A/RES/70/305), nella quale gli Stati membri, nel ribadire la centralità e l’autorevolezza dell’organo in questione ai sensi degli art. 10-14 e 35 della Carta delle Nazioni Unite, puntualizzano l’importanza dei principi di trasparenza ed inclusività nello svolgimento delle attribuzioni e, in particolare, nella nomina del Segretario Generale e degli altri vertici esecutivi, secondo quanto stabilito ai punti 32-44 della prima risoluzione citata nonché ai punti 34-45 della seconda.

2. In ottemperanza a queste indicazioni e secondo una procedura inedita e assolutamente innovativa, intesa a favorire una maggiore collaborazione istituzionale, il presidente dell’Assemblea Generale, il danese Mogens Lykketoft, ed il presidente del Consiglio di Sicurezza, la statunitense Samantha Power, con lettera datata 15 dicembre 2015 ed indirizzata a tutti i rappresentanti ed osservatori permanenti presso le Nazioni Unite, invitavano gli Stati membri a formalizzare le candidature per la nomina del nuovo Segretario Generale, in modo da raggiungere un accordo con discreto margine di anticipo rispetto alla scadenza del mandato dell’uscente Ban Ki-Moon, prevista per il 31 dicembre 2016.

Ricordando le principali caratteristiche richieste al candidato, gli alti standard di efficienza, competenza e integrità, forte impegno nella promozione dei valori della Carta, comprovate capacità manageriali e di leadership, esperienza nelle relazioni internazionali, abilità diplomatiche, di comunicazione e plurilinguistiche, i presidenti sottolineavano la necessità di proporre candidature femminili (mediamente, la presenza delle donne nelle sfere dirigenziali dell’Organizzazione non supera il 20%) e di tenere a mente che, nelle passate elezioni, il criterio geografico era stato rispettato, conformemente alla prassi informale codificata dalla risoluzione 51/241 dell’Assemblea generale del 22 agosto 1997.

Per la prima volta, i presidenti offrivano ai candidati la possibilità di “presentarsi” dinanzi ai rispettivi organi, per incontri, colloqui informali ed eventuali domande da parte dei rappresentanti statali; il tutto naturalmente da svolgersi in tempi congrui con l’avvio delle procedure formali, che, si ricorda, sono indicate dall’art. 97 della Carta, a norma del quale il Segretario Generale è nominato dall’Assemblea Generale su proposta del Consiglio di Sicurezza, e dall’art. 141 del regolamento interno dell’Assemblea generale, secondo cui, quando il Consiglio di Sicurezza – che, da sempre, indica all’Assemblea generale un solo candidato – adotta la raccomandazione sulla nomina del Segretario Generale da sottoporre all’Assemblea generale, essa “shall consider the recommendation and vote upon it by secret ballot in private meeting”. In realtà, come detto, la raccomandazione 2311 (2016) del Consiglio, adottata per acclamazione in data 6 ottobre 2016, è stata approvata dall’Assemblea Generale in seduta pubblica e, anche in questo caso, per acclamazione, come ulteriore segnale del nuovo corso volto ad attribuire maggiore trasparenza e coinvolgimento nei lavori del massimo organo rappresentativo.

3. Infatti, per la prima volta nella storia dell’Organizzazione, l’intero processo di esame delle candidature si è svolto dinanzi all’Assemblea Generale secondo uno schema rivoluzionario rispetto alla prassi relativa ai precedenti otto segretari generali e seguendo un format indicato nell’allegato alla lettera del presidente Lykketoft e recapitata il 25 febbraio 2016 agli Stati membri: la predisposizione di un vision statement, in cui il candidato manifesta convinzioni e prospettive circa l’incarico per il quale si propone, da far circolare pubblicamente; un colloquio informale, della durata di due ore, in cui ciascun candidato pronuncia un discorso di presentazione di circa dieci minuti e si rende disponibile a rispondere ai quesiti dei rappresentanti degli Stati membri ed a rappresentanti della società civile, coinvolti in questo meccanismo in via del tutto eccezionale; massima diffusione sui siti internet istituzionali di tutte le notizie circa i candidati, le fasi delle audizioni e l’organizzazione dei lavori e trasmissione televisiva dei dialoghi e degli interventi da parte di importanti network, come Al-Jazeera. In aggiunta, si è data la possibilità a rappresentanti di organizzazioni non governative operanti in tutto il mondo e di esponenti della società civile, dagli studenti ai professionisti, di formulare domande ai candidati in rete, via Twitter o Instagram, ad una selezione delle quali essi hanno risposto nel corso dei colloqui informali dinanzi all’Assemblea generale, tenutisi nei mesi di aprile, giugno, luglio ed inizio ottobre.

4. In questo quadro, la candidatura di António Manuel de Oliveira Guterres è stata avanzata il 29 febbraio 2016 dal rappresentante permanente del governo portoghese presso le Nazioni Unite, ambasciatore Alvaro Mendonça e Moura, con una lettera indirizzata all’Assemblea Generale ed al Consiglio di Sicurezza, in allegato alla quale il primo ministro portoghese, Antonio Costa, ha evidenziato le ragioni di una tale proposta, tutte riconducibili alla grande esperienza professionale del candidato, sia come esponente di spicco nella politica interna quanto, e soprattutto, per l’incarico di Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, rivestendo il quale ha dimostrato grande senso di responsabilità e capacità di dialogo e cooperazione tanto con gli attori istituzionali e Stati membri quanto con i rappresentanti della società civile e del settore privato.

In effetti, la carriera di António Guterres è di lungo corso: nato a Lisbona nel 1949, laureato in , con ottima conoscenza di inglese, francese, spagnolo, oltreché portoghese, fervente cattolico, iniziò la militanza politica nel 1974, aderendo al partito socialista, nelle file del quale fu eletto deputato ad ogni tornata elettorale dal 1976 fino al 1995. Nel 1991 fondò il Consiglio portoghese per i Rifugiati, nel 1992 divenne segretario del partito socialista e uno dei vice-presidenti dell’Internazionale Socialista fino al 1995, per diventarne poi presidente dal 1999 al 2005. Nel 1995, dopo la vittoria elettorale del suo partito, Guterres assunse l’incarico di primo ministro, ricoperto fino al 2002, ed in tale veste fu presidente del Consiglio europeo nel primo semestre del 2000. Si distinse particolarmente nel corso della crisi di Timor est del 1999, sollecitando l’intervento delle Nazioni Unite a seguito dell’invasione delle truppe indonesiane dopo la richiesta di indipendenza. Nel maggio 2005, fu eletto Alto Commissario per i Rifugiati, incarico che gli è stato rinnovato per un secondo mandato ed è spirato alla fine del 2015. Molto probabilmente, il prestigio e la credibilità acquisiti nel corso di questa esperienza lo hanno portato a superare gli altri dodici candidati in campo per succedere a Ban Ki-Moon, la cui performance è stata giudicata da più parti decisamente incolore. Ha in effetti sorpreso la nomina di Guterres, visto che non si è trattato di una donna, come da più parti caldamente auspicato, e visto altresì che, seguendo il criterio geografico, il nono Segretario Generale sarebbe dovuto provenire dall’Europa dell’est, opportunità peraltro politicamente insostenibile a motivo della grave tensione in atto tra la Russia ed il blocco occidentale conseguente alla situazione conflittuale in Ucraina.

5. Le candidature, in ordine temporale di formale presentazione, sono state le seguenti: Srgjan Kerim, ex ministro degli Affari esteri macedone; Vesna Pusić, già primo ministro di Croazia; Igor Lukŝić, primo ministro montenegrino; Danilo Türk, ex presidente della Repubblica slovena; Irina Bokova, bulgara, direttore generale dell’UNESCO; Natalia Gherman, ex primo ministro della Repubblica di Moldavia; Helen Clark, già primo ministro neozelandese e attuale direttore del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite; Vuk Jeremić, già primo ministro della Repubblica di Serbia; Susana Malcorra, ministro delle Relazioni esterne e del culto della Repubblica Argentina; Miroslav Lajćák, ministro degli Affari esteri ed europei della Repubblica di Slovacchia; Christiana Figueres, Repubblica del Costa Rica, già segretario esecutivo della Convenzione-quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici; Kristalina Georgieva, bulgara, attuale vice-presidente della Commissione europea con portafoglio al bilancio e risorse umane, la cui candidatura è arrivata in extremis il 29 settembre.

Nonostante la massiccia presenza di candidati dell’Europa dell’Est e di ben sette donne, il consenso del Consiglio di Sicurezza si è infine raccolto attorno alla persona di António Guterres, nel corso delle sedute del 21 luglio, 5 agosto, 29 agosto, 9 settembre, 26 settembre, 5 ottobre, con votazione formale il 6 ottobre, delle quali, per la verità, poco o nulla è trapelato ufficialmente, a dispetto della grande opera di trasparenza che ha accompagnato l’intera fase di “conoscenza” dei candidati dinanzi all’Assemblea Generale. Aspetto, questo, rimarcato a chiare lettere dall’uscente presidente Lykketoft, il quale, ancora in una comunicazione del 13 settembre, pur riconoscendo lo spirito di collaborazione fra i due organi che aveva accompagnato tutto il processo di selezione, esprimeva il proprio rammarico per il modo poco trasparente usato nella comunicazione ai media dell’esito degli straw polls, cioè delle intenzioni di voto, avvenuta più per fughe di notizie che per espressa e lucida volontà informativa, pertanto poco rispettosa sia degli Stati membri e delle loro opinioni pubbliche sia dei candidati stessi.

Ad ogni buon conto, la candidatura di Guterres è sembrata da subito quella più accreditata a riscuotere la convergenza, in seno al Consiglio di Sicurezza, dei nove consensi richiesti per questioni non procedurali dall’art. 27, n. 3, della Carta, in cui siano compresi i voti favorevoli dei cinque membri permanenti, in quanto, come ufficiosamente trapelato, alla prima manifestazione delle intenzioni di voto, nel mese di luglio, egli aveva riscosso 12 voti favorevoli, tre astensioni e nessun voto contrario (encourage, discourage, no opinion), a differenza di tutti gli altri candidati, che, come minimo, avevano avuto due voti contrari; e per di più, nella seconda intenzione di voto (5 agosto) era stato l’unico a superare i 9 voti favorevoli, cioè il minimo nel caso in cui ci fosse stata una votazione formale. Nella successiva seduta di fine agosto, Guterres riscuoteva ancora 11 consensi, tuttavia i voti contrari salivano da due a tre. In questa fase, i più accreditati a tener testa al portoghese sembravano essere il candidato slovacco Miroslav Lajčák, il serbo Vuk Jeremić, e la bulgara Irina Bokova, mentre appariva decisiva la posizione della Russia, la quale aveva a più riprese manifestato il proprio interesse a sostenere un candidato dell’Est europeo e veniva individuata come autore del terzo voto contrario a Guterres al terzo scrutinio.

Alla vigilia della quarta seduta per manifestare le intenzioni di voto, sembra che la Russia abbia avanzato qualche protesta per le notizie trapelate alla stampa, pretendendo, secondo una prassi consolidata, di informare esclusivamente i candidati dei propri risultati, del punteggio più alto e del più basso, e comunicando all’Assemblea Generale solo l’avvenuto scrutinio. Dopo il quarto straw poll (9 settembre), in cui i voti favorevoli per Guterres passavano a 12, con due contrari ed un’astensione, anche i suoi immediati inseguitori miglioravano il loro livello di consenso, mentre la compagine femminile si assestava nelle posizioni finali della graduatoria, senza raggiungere il minimo di nove consensi necessari.

Contemporaneamente, si vociferava dell’entrata in scena della vicepresidente della Commissione europea Georgieva, nel momento in cui la connazionale Bokova, accusata di non aver lavorato alla costruzione di una qualche forma di convergenza, sembrava aver perso ogni chance di diventare la prima donna alla guida delle Nazioni Unite. Secondo alcune indiscrezioni, pare che il primo ministro bulgaro Borissov abbia in questa fase ricevuto pressioni dai colleghi del partito popolare europeo per il sostegno alla Georgieva, come alternativa al socialista Guterres. In tal modo, la Bulgaria avrebbe concorso con due candidate, opzione già presente nella prassi precedente, essendosi verificato un caso analogo nel 1991, anno dell’elezione di Boutros Boutros Ghali, con due candidati provenienti dalla Norvegia. In realtà, sembra abbastanza palese che la candidatura della Bokova, dalle riconosciute doti diplomatiche, avrebbe tuttavia incontrato un freno negli Stati Uniti, per la questione dell’adesione della Palestina come membro a pieno titolo dell’UNESCO, avvenuta nel 2011, quando cioè la Bokova stessa ne era direttore generale. Alla vigilia del quinto scrutinio (26 settembre), tuttavia, i veri possibili avversari dell’Alto Commissario apparivano restare il ministro degli Esteri slovacco Lajčák, decisamente appoggiato dai russi, soprattutto dopo che il primo ministro Fico, all’indomani di un incontro con Vladimir Putin, aveva annunciato l’intenzione di rivedere le sanzioni della UE per la questione ucraina, e per questo probabile oggetto di veto da parte degli Occidentali; ed il serbo Jeremić, decisamente contrario alla NATO, anch’egli sostenuto da Putin, ma piuttosto temuto dagli altri Stati a causa del suo non celato nazionalismo e pure non amato dagli USA per la sua opposizione all’indipendenza del Kosovo.

In effetti, nello scrutinio del 26 settembre, Guterres ha visto confermata la sua posizione, seguito dai due leader suddetti, mentre la Bokova perdeva terreno in favore dell’argentina Malcorra, candidata sostenuta dagli Stati Uniti, mentre anche la Figueres, dopo la Pusić ed Igor Lukŝić, comunicava la propria rinuncia. Solo qualche giorno dopo, la candidatura di Kristalina Georgieva è stata ufficializzata, non senza qualche protesta da parte di taluni rappresentanti, come quello del Venezuela, che hanno espresso rimostranze essendo il processo di selezione in una fase più che avanzata, sebbene non esista alcuna norma che indichi un limite temporale alla presentazione delle candidature. In effetti, la candidatura della Georgieva, pervenuta a fine settembre, non ha modificato la situazione, anche perché, sebbene fosse apertamente sostenuta dalla Cancelliera Merkel (la grande perdente di questa partita), non è sembrata gradita né alla Russia (sebbene fosse emerso un appoggio di Putin nel corso del G20 in Cina), in ragione del suo impegno da commissaria europea nel corso delle crisi in Crimea ed Ucraina, né alla Francia e neppure al Regno Unito, compatti invece nel sostegno a Guterres.

Il sesto ed ultimo scrutinio segreto si è svolto il 5 ottobre, questa volta però utilizzando il sistema dei coloured ballots, per rendere palesi le intenzioni di voto e indicare l’assenza di veti. In esito al quale il presidente in carica del Consiglio di Sicurezza, il russo Vitalij Churkin, accompagnato inaspettatamente dall’ambasciatrice statunitense Samantha Power, con la quale aveva avuto un violento scontro verbale sulla questione siriana solo qualche settimana prima, ha comunicato di voler formalizzare l’indomani, attraverso una votazione rituale, la scelta di António Guterres, che, come trapelato in ultimo, aveva ricevuto 13 voti favorevoli e due astensioni, che sono diventate all’evidenza voto favorevole, essendo l’indomani avvenuta la nomina, come detto, per acclamazione, a dimostrazione di un raro momento di unità del Consiglio di sicurezza. La ex-candidata Chistiana Figueres ha definito la scelta di Guterres come “bittersweet”: amara, non trattandosi di una donna; dolce, essendo il migliore degli uomini in lizza.

6. Quale agenda troverà sul tavolo il nuovo Segretario Generale? Dalla tragica situazione in Siria alla minaccia nord-coreana, dai cambiamenti climatici alle guerre in Africa, passando attraverso i flussi consistenti di migranti, richiedenti asilo e rifugiati che solcano i mari e oltrepassano i confini nazionali, Guterres dovrà tradurre in pratica le indicazioni programmatiche che ha comunicato nel suo vision statement ai rappresentati degli Stati membri e riassunto nello speech di dieci minuti del 12 aprile scorso all’Assemblea Generale (reperibile sul sito istituzionale della stessa). In queste due ultime occasioni, egli ha posto un particolare accento sulla necessità di promuovere il rispetto dei diritti umani, considerato il fondamentale dei tre vertici (insieme alla pace e sicurezza ed allo sviluppo sostenibile) da connettere per realizzare un mondo guidato dal diritto internazionale che abbia come base la dignità ed il valore della persona umana. In particolare, ha imperniato il discorso sulla necessità di un impegno strategico per la prevenzione delle situazioni potenzialmente conflittuali, prevenzione che dovrebbe basarsi su cinque punti:

  • crescita della diplomazia della pace, in cui il Segretario Generale sia honest broker, bridge builder and messenger of peace;
  • creazione di una “architettura operativa per la pace”, attraverso il riesame delle politiche di costruzione e mantenimento della pace, e conferimento di spazio e potere alle donne,
  • investimenti per favorire il rafforzamento delle istituzioni degli Stati;
  • lotta al terrorismo;
  • politica dell’inclusione, raggiungendo l’ambito obiettivo di una società multietnica, multiculturale e multireligiosa.

Per centrare questi goal, Guterres preconizza un maggior coordinamento, senza duplicazioni di funzioni, senza competizione ma collaborazione, condivisione delle responsabilità piuttosto che perseguimento di interessi individuali. In particolare, all’interno dell’architettura delle Nazioni Unite, individua l’importanza del Chief Executive Board e del Senior Management Group, quali guide per una strategia improntata alla coerenza.

Quanto ad eventuali riforme interne all’Organizzazione, Guterres non esprime alcuna proposta concreta, in relazione ad esempio alle numerose intenzioni di ripensamento nella composizione del Consiglio di Sicurezza, giudicata ormai anacronistica rispetto all’accresciuto numero di Stati membri ONU, un terzo dei quali non è ancora mai entrato fra i 10 membri non permanenti e con i paesi della regione dell’Asia e del Pacifico, che contano solo 3 seggi, pur ospitando il 55% della popolazione mondiale. Preferisce piuttosto sottolineare l’importanza dei principi etici cui il Segretario Generale deve ispirarsi, con senso di legalità, affidabilità e lungimiranza, favorendo la reputazione e la credibilità dell’Organizzazione e lavorando per il raggiungimento dell’uguaglianza di genere e della rappresentatività regionale. Vale la pena però ricordare che, nel corso del suo primo mandato quinquennale, Guterres, dando prova di notevole capacità manageriale, ha realizzato una profonda riforma dell’Alto Commissariato.

Le prime parole del neo-eletto dinanzi all’Assemblea Generale sono state all’insegna della gratitudine – per essere stato designato – e dell’umiltà – necessaria per affrontare le pesanti sfide che lo attendono. Com’è noto, infatti, le attribuzioni del Segretario Generale, a prescindere dai modi di esercitarle previste nella Carta, sono riconducibili a quattro grandi filoni: a) capacità di leadership, nelle funzioni di mediatore, manager, coordinatore di 193 Stati portatori di interessi variegati, esercitando un’autorità morale che lo qualifichi come una sorta di “Papa secolare” (secondo la nota definizione di K. Kille); b) abilità di fronteggiare le sfide interne all’Organizzazione, facendosi anche artefice di rinnovamento; c) lungimiranza nello sfruttare momenti di crisi per promuovere opportunità; d) capacità di indirizzare l’attenzione dei governi e dei media su temi scottanti, anche ricorrendo all’ausilio di uomini di Stato, esperti e gruppi di interesse.

7. In accordo con le principali opinioni circolate in questi mesi, Antonio Guterres, primo ex capo di governo e leader politico ad assumere le funzioni di Segretario Generale, sembra essere la persona più qualificata a fronteggiare le sfide globali di questi anni, molte delle quali sfuggite di mano al suo predecessore, con una sensibilità particolare verso i bisogni degli ultimi. Fra le prime dichiarazioni rilasciate dopo la sua acclamazione, ha rivolto il suo pensiero al popolo siriano, ricordando che in passato aprì le sue case ed il suo cuore ai profughi in arrivo dall’Iraq e dalla Palestina, laddove ora è vittima di una immane tragedia. Nei due mesi e mezzo che lo separano dall’inizio ufficiale del mandato, l’ex alto commissario – al quale la sostanziale trasparenza della procedura elettiva assicura una chiara legittimazione e una maggiore autorevolezza rispetto ai suoi predecessori sia di fronte al Consiglio di Sicurezza sia all’Assemblea Generale -ha assicurato di volersi preparare adeguatamente, acquisendo i dossier e prestando la massima attenzione al passaggio di consegne: da tutti si auspica che sta arrivando il momento in cui le Nazioni Unite riceveranno l’impulso giusto al profondo rinnovamento dell’Organizzazione, col ritorno allo spirito autentico della Carta.

Prof. Carlo Curti Gialdino, docente di Diritto dell’Unione Europea all’Università Sapienza di Roma, in collaborazione con la dottoressa Roberta Lucchini, Collaboratrice alla cattedra di Diritto dell’Unione europea, Dipartimento di Scienze Politiche, Università Sapienza di Roma

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