Le dichiarazioni del Presidente filippino Rodrigo Duterte fanno scricchiolare le importanti relazioni tra Stati Uniti e Filippine. Lontano dai riflettori globali puntati sul Medio Oriente, il sud-est asiatico riveste un’importanza fondamentale nelle partite geopolitiche contemporanee: al centro del “pivot to Asia” e in generale del contenimento anticinese nella regione Asia-Pacifico. I rapporti tra Filippine e Repubblica Popolare Cinese presentano due contenziosi tuttora irrisolti: la disputa sulle isole Spratly e quella sullo Scarborough Shoal nel Mar Cinese Meridionale. Le isole Spratly sono contese da Cina, Vietnam, Filippine, Brunei, Taiwan e Malesia mentre lo Scarborough Shoal è oggetto di contenzioso tra Filippine, Cina e Taiwan. A luglio il tribunale dell’Aja ha dato ragione alle Filippine in merito alla disputa marittima con Pechino, che rifiuta categoricamente la sentenza[i].
E’ necessario contestualizzare tali questioni all’interno dell’accerchiamento anti-cinese da parte statunitense, una vera e propria “cintura” di contenimento finalizzata ad arrestare l’ascesa cinese a potenza egemone regionale. Per fare ciò gli Stati Uniti hanno stretto forti rapporti bilaterali con diversi paesi della regione accomunati da motivi di ostilità con Pechino per contenziosi territoriali e hanno lanciato il TPP (Trans-Pacific Partnership) sul piano economico. Il Mar Cinese Meridionale è conteso da Filippine, Taiwan, Thailandia, Indonesia, Malesia, Brunei, Vietnam e Cina, che rivendica circa il 90% delle acque. Le principali motivazioni di contesa riguardano la presenza di idrocarburi (che fanno gola al gigante cinese, principale importatore mondiale di idrocarburi), i traffici commerciali e il conseguente controllo delle vie marittime: vi transitano oltre 70.000 navi mercantili l’anno con un valore totale delle merci trasportate di 5.300 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti hanno realizzato diversi voli di ricognizione “non autorizzati” dalla Cina e nel 2015 l’invio del cacciatorpediniere “Lassen” ha suscitato le proteste di Pechino che vede minacciati i propri interessi strategici. Tra i principali alleati regionali degli Usa nella politica di accerchiamento anti-cinese c’è anche il Giappone che sta abbandonando il post-bellico “pacifismo costituzionale” e ha un contenzioso con la Cina per il controllo delle isole Shenkaku/Diaoyu[ii].
Come scrive Diego Angelo Bertozzi, studioso della Cina e autore di un saggio da poco pubblicato (Cina. Da «sabbia informe» a potenza globale, Imprimatur 2016), bisogna tenere presente che su queste acque “si profila una minaccia che, sebbene di difficile attuazione, non è certo peregrina e che a Washington qualcuno annovera tra le possibilità: il blocco commerciale per tenere sotto ricatto la Cina Popolare[iii]” (in caso di un conflitto con la Cina). Il Mar Cinese Meridionale riveste un’importanza strategica per il colosso asiatico dato che vi transita il 70% del petrolio destinato a Pechino. Rodger Baker – capo sezione analisi Asia Pacifico di Stratfor Global Intelligence – presenta ragionevolmente lo scontro Usa-Cina come una contrapposizione tra “imperativi strategici”: quello statunitense del dominio globale dei mari e quello cinese di proteggere “le rotte commerciali strategiche, le risorse e i mercati dall’interdizione straniera”[iv].
Torniamo adesso alle Filippine. Dopo il gelo provocato dalle dichiarazioni offensive di Duterte nei confronti di Obama (per le quali si è scusato), la Casa Bianca ha ribadito la solidità delle relazioni storiche tra i due paesi. Come ha fatto notare il politologo Richard Javad Heydarian, potremmo però essere in presenza dell’inizio di una “riconfigurazione delle relazioni tra Usa-Filippine” sotto l’attuale Presidente[v]. Duterte ha più volte ribadito che le Filippine non sono più una colonia statunitense e – già subito dopo essere stato eletto – ha rivendicato una politica estera autonoma senza influenze o protettori stranieri[vi]. Nonostante i pesanti contenziosi territoriali con la Cina, Duterte è favorevole a un processo di distensione con il Dragone asiatico per favorire massicci investimenti nelle infrastrutture, invocando addirittura un ruolo similare a quello svolto dalla Cina in Africa[vii]. I toni concilianti con la Cina si discostano notevolmente da quelli del suo predecessore Benigno Aquino, favorendo quindi un clima di maggiore “riconciliazione” tra i paesi dell’Asean (Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico). Di certo le relazioni strategiche e militari con gli Usa non potranno essere stravolte – e non è questo l’intento di Duterte – ma sicuramente, come fa notare Javad Heydarian, gli Stati Uniti non potranno più aspettarsi “lo stesso livello di deferenza strategica e supporto diplomatico”.
Le posizioni concilianti di Duterte potrebbero essere quindi l’occasione per Pechino di “sottrarre” uno tra i fondamentali componenti del “pivot to Asia” all’assoluta fedeltà strategica verso gli Stati Uniti. Per fare ciò dovrebbe accogliere i toni concilianti del Presidente filippino nei confronti bilaterali, promuovendo la partnership tra i due paesi.
Federico La Mattina
[i] https://www.theguardian.com/world/2016/jul/13/china-damns-international-court-after-south-china-sea-slapdown
[ii] Si rimanda a P. Migliavacca, Il contenzioso del Mar Cinese Meridionale, in “Affari Esteri” anno XLVII n. 175, inverno 2016, pp. 183-193.
[iii] D. A. Bertozzi, Il Pivot to China, in “MarxVentuno” n. 1-2 2016, pp. 217-230.
[iv] R. Baker, Per gli Stati Uniti l’ascesa cinese è la sfida decisiva, in “Limes, rivista italiana di geopolitica” 2/2016, pp. 107-114.
[v] http://nationalinterest.org/blog/the-buzz/the-duterte-dilemma-why-it-matters-china-the-us-alliance-17689
[vi] http://www.telesurtv.net/english/news/Philippines-Duterte-Backs-Away-from-US-on-Foreign-Policy-20160531-0014.html
[vii] http://globalnation.inquirer.net/137093/duterte-tells-china-build-us-a-railway-and-lets-set-aside-differences-for-a-while Vedi anche: http://www.rappler.com/nation/137177-duterte-china-build-manila-clark-railway