La “Jihad” in Europa: Percorsi di radicalizzazione


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Nel mese trascorso, l’Europa è stata nuovamente colpita da una serie di gravi attentati messi in atto  da singoli individui e rivendicati nel nome dello Stato Islamico ( ISIS ). Il 14 Luglio, Mohamed Lahouaiej Bouhlel, un cittadino tunisino residente in Francia, uccide più di 80 persone e ne ferisce un centinaio lanciandosi alla guida di un camion di 19 tonnellate nel mezzo della folla spettatrice alla celebrazione della festa nazionale della “Presa della Bastiglia” sul lungomare di Nizza. Alcuni giorni dopo, in Germania, un ragazzo afghano di soli 17 anni, richiedente asilo, attacca con un coltello e un’ascia i passeggeri di un treno diretto a Wurzburg, ferendone 4 prima di essere ucciso dalla polizia. Altri due attacchi rivendicati nel nome dell’ISIS vengono perpetrati successivamente: un attacco suicida il 24 Luglio ferisce 15 persone nella città tedesca di Ansbach, e il 26 Luglio, due attentatori che giurano fedeltà allo Stato Islamico attaccano una chiesa nei sobborghi di Rouen, tagliando la gola al parroco di 84 anni e prendendo in ostaggio altre 4 persone. Alcuni giorni fa un immigrato regolare, a Charleroi in Belgio, aggredisce a colpi di machete due poliziotte, ferendole, al grido di “Allah Akbar”.

Questi attentati sono parte di una più ampia escalation di violenza portata avanti da singoli individui. Analisti, giornalisti e studiosi hanno inquadrato i responsabili nel fenomeno del “lupo solitario”: singoli individui che mancano di un sostanziale collegamento all’ISIS o ad altri gruppi jihadisti che compiono queste operazioni senza l’assistenza di altri membri.

Un fattore in controtendenza adesso, rispetto agli attacchi di Charlie Hebdo, del Bataclan e di Bruxelles, dove gli autori erano ex-foreign fighters ritornati in Francia e Belgio per condurre attacchi e mostravano chiara alleanza allo Stato Islamico nelle cui fila avevano già militato.

Il fenomeno dei foreign fighters sembra essere più controllato dalle intelligence europee che adesso collaborano maggiormente con un paese di passaggio di jihadisti come la Turchia, in base a un controverso accordo che rischia adesso di vacillare visti i recenti fatti accaduti in Turchia, dove il fallito golpe ha mostrato l’inasprimento di una politica sempre più nazionalista e accentratrice del presidente Erdogan.

In Siria e in Iraq, lo Stato Islamico arretra sempre di più nel controllo dei territori, sotto gli attacchi della coalizione a guida statunitense, supportata dalle milizie curde e dall’esercito iraqeno.

Questo arretramento e il capillare controllo del passaggio dei foreign fighters ha portato l’ISIS ad un cambio di strategia nella lotta all’Occidente. La propaganda on-line è stata potenziata al fine di “radicalizzare” individui già presenti nel territorio europeo e mondiale per colpire con qualsiasi mezzo qualsiasi obiettivo presente sul territorio. L’enfasi viene data ai cosiddetti “soft target” ovvero luoghi poco sensibili e sorvegliati, come parchi, chiese, spiagge.

Il fenomeno della radicalizzazione è tutt’oggi alquanto complesso. Vari studi sono stati condotti a riguardo e alcuni fattori giocano un ruolo fondamentale nel facilitare il processo di estremizzazione ideologica in alcuni individui presenti nel tessuto sociale delle città europee, perpetrato dalla propaganda jihadista con quella che oggi è una vera e propria ideologia alternativa all’Occidente.

I fattori e i processi coinvolti nella radicalizzazione e il reclutamento sono altamente individualizzati e complessi. La sostanziale ricerca accademica ha effettivamente screditato la nozione secondo cui esistono previsioni generalizzanti per la radicalizzazione. Anche all’interno delle aree calde di alta radicalizzazione che formano un significativo numero di jihadisti pronti al martirio, esiste un’alta proporzione di popolazione con caratteristiche demografiche similari che non si radicalizza o non si unisce a gruppi estremisti. Tuttavia esistono dei “trend” che possono aiutare a spiegare perché certe aree o contesti sociali favoriscono la radicalizzazione di individui piuttosto che altre.

Il primo e più significativo trend è quello del “risentimento sociale” legato a “problemi individuali” che può portare molto spesso alla radicalizzazione e al reclutamento. La situazione critica dei musulmani sunniti in Siria ed Iraq e le atrocità commesse dal regime brutale di Bashar al-Assad, sicuramente servono come sufficiente motivazione per coloro i quali decidono di partire in Siria ed Iraq per unirsi allo Stato Islamico, che sembrano farlo per ragioni ed impeto personali. La prospettiva di trovare identità, scopo, appartenenza ed avventura sembrano guidare maggiormente giovani europei musulmani verso la jihad, più che per ragioni teologiche.[1] Le stesse ragioni sembrano influenzare singoli individui a compiere la guerra santa in “casa propria”, casa che verosimilmente li ha in qualche modo traditi e fuorviati.

Un altro trend comune è la presenza in certe aree, nelle nostre città, di una o più figure carismatiche già affiliate alla causa jihadista. Ci sono numerosi esempi di influenti reclutatori dell’ISIS, in particolare negli “hotbeds” di reclutamento sul territorio europeo prevalenti in Francia, Belgio, Bosnia. Questi leader carismatici tendono a predicare a target di individui particolarmente vulnerabili nelle città o nei quartieri nei quali operano, spesso parlando a giovani disillusi e con crimini alle spalle. La loro presenza e la conoscenza dei problemi della comunità nella quale vivono, sommata all’interazione fatta “in presenza” dei potenziali reclutati, permette loro di affermare il loro messaggio estremista come soluzione al risentimento sociale e di massimizzarne l’efficacia. I reclutatori riescono a “capitalizzare” i propri reclutati, partendo dal loro senso preesistente di non appartenenza alla società in cui vivono. L’interazione fatta di presenza è poi accompagnata da una fitta comunicazione tramite i social network e applicazioni di messaggistica che danno luogo alla “tempesta perfetta” per il reclutamento, mettendo in comunicazione i reclutati con i reclutatori o amici già presenti nel sedicente Stato Islamico, e quindi ben posizionati per fornire istruzioni e ordini da parte del Califfato. Per fornire un esempio di comunicazione adottata dai jihadisti, l’applicazione di messaggistica istantanea più usata oggi, è Telegram.

Telegram è un software liberamente e gratuitamente scaricabile su diverse piattaforme, ed è stato ideato dal programmatore russo, Pavel Durov, nel 2014.

Durov, profondo sostenitore dell’indipendenza dei dati e della privacy, aveva lanciato nel 2006 il social network Vkontakte, che diventa il primo social network russo. Tuttavia con VK, Durov incontra dei problemi con Putin, il quale gli aveva chiesto, invano, di fornirgli informazioni sui ribelli ceceni nel 2014.

Sotto pressione, Durov decide di cedere l’azienda di Vk, e concepisce l’idea di lanciare un’applicazione impenetrabile, che non lasci tracce visibili. Da quest’idea nasce Telegram, che con il criptaggio completo dei messaggi, che si autodistruggono, insieme ai profili utenti, rende Telegram ad oggi, molto difficile da tracciare. Inoltre Telegram si muove al contempo su diverse giurisdizioni ( anche se la sede legale è a Berlino ) il che evita il più delle volte di essere soggetti a richieste di dati da parte dei governi

L’esistenza di un programma di messaggistica come Telegram permette quindi la comunicazione tra “gruppi di fratellanza” per potere scambiare informazioni senza essere facilmente scoperti.

Un altro trend comune e’ l’ideologia jihadista, ispirata dalla corrente salafita. Il “jihadismo” e’ stato frequentemente descritto come “la chiamata alle armi” secondo l’ideale della jihad contro i nemici comuni non-musulmani e contro i governanti dei paesi musulmani che vengono considerati apostati. Allo stesso tempo, il jihadismo viene raffigurato come l’idea radicale della religione islamica secondo cui l’incessante lotta contro l’Occidente e i suoi alleati, rappresenta un dovere morale.

L’ideologia jihadista differisce da altre ideologie militanti radicali per la sua ambizione di conferire al “credente-militante” una sorta di purificazione, un nuovo inizio e un’identità autentica, e allo stesso tempo configura una missione chiara nel mondo presente e nel mondo ultra-terreno.[2]

E’ con questa ideologia, diffusa ampiamente attraverso la rete che l’ISIS al giorno d’oggi, ancora piu’ di Al Qaeda qualche tempo fa, riesce a fare sempre piu’ proseliti. E’ diventato ormai un brand che viene pubblicizzato e venduto sul mercato, e piu’ diventa di moda, ancor piu’ può svilupparsi a macchia d’olio soprattutto fra i giovani, di diversa provenienza geografica e condizione socio-economica.

Secondo Oliver Roy, per capire il fenomeno della radicalizzazione bisogna prendere le distanze da due false affermazioni. In primo luogo, e’ falso pensare che i giovani musulmani, nella loro condizione odierna siano endemicamente impossibilitati all’integrazione nelle società occidentali e nel sistema internazionale moderno. In secondo luogo, gli effetti negativi del post-colonialismo, come la percezione di essere inevitabilmente esclusi dalle società occidentali, e l’identificazione nella causa palestinese con la relativa opposizione all’intervento “crociato” in Medio Oriente, sono erroneamente considerati i fattori scatenanti decisivi alla causa jihadista. In realtà, queste non sono le piu’ grandi ragioni che guidano le nuove generazioni musulmane alla militanza anti-occidentale. Secondo l’autore, il jihadismo di oggi non e’ ne’ una rivolta dell’Islam, ne’ una rivolta dei musulmani. E’ un fenomeno che investe due specifiche categorie di giovani: le seconde/terze generazioni di immigrati e i nuovi convertiti all’Islam. Questi due gruppi condividono le stesse esperienze di scontro generazionale con i genitori per la loro cultura “originale” che in principio simboleggiano. Questo fa si’ che i giovani non assumano un’identità ben definita e inclusiva dei valori originali dei genitori e dei nuovi valori dati dalla società nella quale sono cresciuti. Vivono in una specie di “limbo” identitario, in cui non affermano e non sviluppano una nuova identità. L’ideologia jihadista invece, e’ capace di conferire una missione, uno scopo, un nome di battaglia. Ed ecco che una nuova identità viene fuori, da poter “acquistare” sul mercato. E’ la dinamica dell’islamizzazione del radicalismo. Il jihadismo di oggi e’ la chiara espressione di una rivolta che esiste già nelle menti di molti giovani e nelle nostre società, fomentata piu’ dal nichilismo che dall’idealismo.[3]

Il quarto e ultimo trend e’ il cambiamento del processo di radicalizzazione che passa dai luoghi fisici alla rete, usando le piu’ sofisticate tecnologie.

Con il boom dei social media e della comunicazione decriptata, la radicalizzazione e la pianificazione possono facilmente aver luogo interamente online. L’ISIS ha capitalizzato l’evoluzione delle tecnologie di comunicazione creando coese comunità in rete che sviluppano un senso di “remota prossimità” così da facilitare la radicalizzazione. Il gruppo ha inoltre creato un team di “pianificatori virtuali” che usano Internet per identificare i reclutati e coordinare gli attacchi, spesso senza mai incontrare fisicamente gli esecutori.[4]

Un’importante fattore da considerare e’ che il fenomeno dei “lupi solitari” e’ spesso fuorviante, in quanto la maggior parte degli attacchi perpetrati apparentemente da singoli individui, dimostravano poi la compiacenza, l’appoggio e la complicità di altri individui, facenti parte dello stesso “network”.

In conclusione, analizzati questi trend comuni e ricorrenti nel processo di radicalizzazione del terrorismo di matrice jihadista, e’ necessario comprendere il fenomeno in se’, e cercare di comprendere in cosa l’Occidente ha sbagliato nell’annoverare nelle proprie fila, aspiranti combattenti e oppositori. E’ necessario un recupero di valori umani come la tolleranza, l’inclusione sociale e il dialogo, cercando di costruire sempre piu’ ponti e sempre meno muri tra culture e credenze diverse. Dal canto suo, la società islamica presente in Europa, avendone sposato la cultura e gli ideali, debba prendere coscienza del problema jihadista al proprio interno e debba opporvisi in maniera ferma e manifesta, prendendone le distanze, denunciando anche il minimo movimento sospetto, non identificandosi in nessun modo con questa ideologia, e recuperando i giovani, salvandoli da questa crisi identitaria profonda. Facendo un parallelismo con quella che e’ la mentalità mafiosa nelle realtà del meridione italiano, e’ necessario che cessi una certa “omerta’” presente in alcuni contesti sociali delle comunita’ islamiche in Europa, vedi Molenbeek in Belgio.

Per quanto riguarda i network e il trend digitale del radicalismo, e’ necessaria una riorganizzazione capillare delle intelligence e delle forze dell’ordine europee, al fine di cooperare nello scambio di informazioni e dati nella lotta al jihadismo radicale. In Europa è un lavoro che viene fatto a livello interstatale da Europol e Interpol. E’ necessario potenziare il lavoro di queste due agenzie e cooperare il piu’ possibile con esse contro quello che oggi e’ ormai un fenomeno globale, non piu’ inquadrabile entro i propri confini nazionali, destinato purtroppo a durare nel tempo.

Danilo Lo Coco

[1] Soufan, A, Shoenfeld, D, “Regional Hotbeds as Drivers of Radicalization”, in “Jihadist Hotbeds – Understanding Local Radicalization Processes”, Ispi, 2016, http://www.ispionline.it/it/EBook/Rapporto_Hotbeds_2016/JIHADIST.HOTBEDS_EBOOK.pdf

[2] Maggiolini, P., Varvelli, A., “Conclusions” in “Jihadist Hotbeds – Understanding Local Radicalization Processes”, Ispi, 2016,

http://www.ispionline.it/it/EBook/Rapporto_Hotbeds_2016/JIHADIST.HOTBEDS_EBOOK.pdf

[3] Roy, O., “Le djihadisme est une revolte generationnelle et nihiliste”, Le Monde, 24 November 2015,

http://www.lemonde.fr/idees/article/2015/11/24/le-djihadismeune-revolte-generationnelle-et-nihiliste_4815992_3232.html

[4] Gartenstein-Ross D. and Barr, N., “The Myth of Lone-Wolf Terrorism – The Attacks in Europe and Digital Extremism, in “Foreign Affairs”, 26 Luglio 2016,

https://www.foreignaffairs.com/articles/western-europe/2016-07-26/myth-lone-wolf-terrorism

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