Che l’Italia non abbia ancora ben compreso quale sia il suo ruolo nello scacchiere internazionale non è di certo una novità. La politica nazionale ha sempre fortemente influenzato le scelte in termini di politica estera e il suo perenne essere “parte di tutto e leader di niente” o meglio, il suo oscillare tra la status di “least of the great powers” o “largest of the smaller powers”, ha avuto e continua ad avere notevoli ripercussioni sulla sua credibilità. Nonostante il suo attivo coinvolgimento in tre principali sfere di potere: quella Atlantica, quella Europea e quella Mediterranea, solo in quest’ultima l’Italia è stata in grado di giocare un ruolo di rilievo. Rimane, però, da chiedersi quali ne siano le cause e quali le conseguenze.
Affacciata sul Mediterraneo, ponte tra Oriente e Occidente e tra Nord e Sud del mondo, tra Cristianesimo e Islam, nonché membro della NATO e paese fondatore dell’Unione europea, l’Italia si è sempre trovata coinvolta in numerosi scenari internazionali che, se da un lato hanno giovato alla sua prosperità, dall’altro hanno fortemente minato la sua stabilità. Esattamente a settant’anni dall’avvento della Repubblica, è possibile dimostrare che il ripetuto alternarsi al potere di coalizioni di destra e sinistra abbia portato alla creazione di diverse strategie geopolitiche e di una duplice tendenza nelle relazioni internazionali della penisola: da un lato c’è l’Italia Atlantista fortemente legata agli Stati Uniti, dall’altra c’è l’Italia Europeista, perennemente alla ricerca di un ruolo di spicco in un’Unione europea sempre più disorganica. L’attaccamento agli Stati Uniti sin dall’immediato dopoguerra ha fatto sì che la nazione si focalizzasse sulla sua ricostruzione economica nel quadro di un sistema di sicurezza ben più ampio assicurato dagli americani stessi, mentre l’adesione all’UE è stata la pietra miliare del suo sviluppo politico ed economico sul piano regionale. In questo scenario si inserisce la regione Mediterranea, quella di cui l’Italia è il vero cuore, fonte di insormontabili problemi sociali, politici ed economici, ma estremamente rilevante per lo sviluppo del paese. La regione Mediterranea è di fatto l’unica vera area in cui l’Italia è riuscita a sfruttare il suo ruolo di potenza per riconquistare credibilità a livello internazionale e ad ottenere un ruolo di predominanza, in maniera funzionale al perseguimento del proprio interesse nazionale, specialmente prima dell’avvento delle Primavere Arabe.
Secondo le parole di Romano Prodi in un’intervista dello scorso 1° Aprile, “il Mediterraneo è sempre stato il paradiso e la condanna a morte dell’Italia, e tale rimarrà”. Non è un caso quindi se il più recente Libro Bianco della Difesa presentato il 21 aprile 2015 dal ministro della Difesa Roberta Pinotti al Presidente della Repubblica e al Consiglio Supremo di Difesa che lo ha poi approvato, non menzioni alcuna area geografica al di fuori del Mediterraneo. Emerge molto chiaramente, invece, una stringente preponderanza dell’area euro-mediterannea, che viene definita come il fulcro degli interessi nazionali nonché la principale area di intervento della nazione. C’è da sorprendersi? Non propriamente. Per comprende come mai sia questo il caso, è necessario compiere un’analisi più approfondita di quella che è il sistema paese. Il Mediterraneo è cruciale per l’Italia, non solo da un punto di vista politico ma anche e soprattutto la rilevanza che esercita sul settore economico Italiano. Si stima che nel 2014 il valore complessivo delle esportazioni italiane abbia raggiunto i 403,8 miliardi di euro. Di questa cifra, il 10,7 per cento – circa 43 miliardi – è rappresentato dal commercio con i Paesi dell’area del Mediterraneo (“area Med”) e del Consiglio di Cooperazione del Golfo (“area Ccg”), racchiusi sotto il nominativo di area Medio Oriente e Nord Africa (Mena) che include anche la Turchia. L’interscambio dell’Italia con la sola area Med è cresciuto del 64,4 per cento nel periodo 2001-2013, passando da 33,3 a 54,8 miliardi di euro. L’export italiano verso l’area Med è più che raddoppiato (+107,1 per cento), nel 2013 e il ritmo di crescita è stato superiore a quello dell’export di Stati Uniti. L’Italia pertanto è il quarto Paese esportatore nell’area Med su scala mondiale – dopo Cina, Germania e Stati Uniti – mentre si posiziona al secondo posto, subito dopo Berlino, a livello europeo. [1] Comprendere le ragioni per cui l’Italia non può svincolarsi dalla regione Mediterranea è ora molto più immediato. Sebbene negli ultimi decenni il paese abbia cercato di farsi spazio tra altre potenze in differenti regioni in cui vi era margine di manovra e parvenza di successo, il governo si è trovato per lo più a fare passi indietro per tornare su un terreno ben più stabile e geograficamente prossimo, dove la leadership era ormai consolidata: l’area Mediterranea. Che questo fosse motivato da una reale incapacità di affrontare nuove sfide internazionali o che fosse per mera necessità di perpetrare dinamiche di potere e sfruttare risorse del quale il paese è fortemente carente, poco importa al fine delle conseguenze che questa scelta ha comportato. Il Mediterraneo è a tutti gli effetti il paradiso dell’Italia: è la sua principale rotta commerciale, la più importante fonte di collegamento con tutti gli altri continenti, una delle maggiori aree da cui importare le risorse energetiche grazie ai numerosi gasdotti che collegano le coste nordafricane e mediorientali con quelle italiane, e rimane la regione in cui l’Italia può esercitare il suo potere di potenza occidentale per ristabilire ordine, progettare piani risolutivi per la crisi dei migranti, e guidare delle missioni di pace sotto mandato delle Nazioni Unite, come nel caso del Libano (dal 2012 l’Italia ha assunto il comando della missione UNIFIL – United Nations Interim Force in Lebanon). Tuttavia, il Mediterraneo sancisce anche la condanna a morte dell’Italia. Una morte lenta e dolorosa. Una morta tagliente e dalle mille sfaccettature. Una morte di un paese non in quanto tale, ma in quanto potenza occidentale incapace di far fronte a crisi umanitarie, ad emergenze internazionali, alla mancanza di democrazia, e al dirompere di estremismi tanto devastanti quanto prevedibili. È una morte che sancisce l’assoluta assenza di valori condivisi all’interno dell’Unione Europea e che dimostra come all’Italia non resti che giocare la sua partita di potere laddove c’è una remota possibilità di vittoria. Questo match finale, però, non è di certo equo né costruttivo: è una lotta di uno contro tutti – dell’Italia contro le altre potenze occidentali al fine di accaparrarsi dominio su una regione già martoriata da dissidi interni. È una lotta a cui i paesi della stessa area non sono invitati a prendere parte. È la morte della democrazia e il prevalere delle dinamiche di potere. È la storia che si ripete.