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Tradite dalla liberazione: le vittime delle marocchinate dimenticate dalla storia
Nella primavera del 1944, quando Italia e Germania, erano ancora alleate durante la Seconda Guerra Mondiale, lo scenario che si profilava agli occhi di chi la guerra l’ha vissuta o solo studiata è quello di paesi martoriati, dalla fame, dalla paura, la popolazione civile era schiacciata fra due fuochi. Il governo guidato da Hitler immaginava la creazione di un Lebensraum e la guerra era lo strumento necessario al raggiungimento di questo obiettivo. Fu combattuta da Stati stretti attorno alla Germania, all’Italia e al Giappone da un lato, e alla Gran Bretagna e poi (a partire dal 1941) agli Stati Uniti e all’Unione Sovietica dall’altro. Le cause vanno ricercate nella politica aggressiva, espansionistica e militaristica che la Germania nazista, l’Italia fascista e quindi il Giappone imperiale misero in atto negli anni trenta in Europa e in Asia. Questa politica maturò, con l’Asse Roma-Berlino (ottobre 1936), con il Patto anti-Comintern (novembre 1936) e con il Patto d’acciaio (maggio 1939) che riuscì a rinsaldare definitivamente l’alleanza con l’Italia e il Giappone.[1]
Il corpo di spedizione francese sbarcato in Sicilia prima, e a Salerno poi, intraprese la risalita dello stivale nella primavera del 1944[2]. Tale esercito era composto da centodieci mila soldati tra marocchini, algerini, tunisini e senegalesi; essi si chiamavano “Goumiers” perchè erano organizzati in “Goums” o plotoni composti da una settantina di uomini, in genere legati da qualche grado di parentela. Le marocchinate trovarono lo zenit del loro consumarsi a seguito dell’Operazione Diadem, conosciuta anche come la quarta battaglia di Montecassino, in cui gli Alleati avviarono un’operazione per sconfiggere le truppe tedesche durante la campagna di liberazione dell’Italia. Come premio ai Goumiers, viene concessa libertà di comportamento, come si evince nel proclama del generale francese Alfons Jouenne:
“oltre quei monti, oltre quei nemici che questa notte ucciderete, c’è una terra larga ricca di donne di vino di case. Se voi riuscirete a passare oltre quella linea senza lasciare vivo un solo nemico il vostro generale vi promette, vi giura, vi proclama, che quelle donne, quelle case, quel vino, tutto quello che troverete sarà vostro. A vostro piacimento e volontà per cinquanta ore. E potrete avere tutto, fare tutto, distruggere tutto, distruggere e portare via, se avrete vinto, se ve lo sarete meritati. Il vostro generale manterrà la promessa se voi obbedirete per l’ultima volta fino alla vittoria.”[3]
Riguardo questa affermazione, ci sono due scuole di pensiero, chi come lo storico Jean Christophe Notin afferma che tutto ciò possa trattarsi di un’invenzione degli italiani o degli americani e che, il Generale Jouenne preoccupato dei suoi uomini e delle sorti della gente del luogo non abbia potuto affermare ciò.[4] Altri invece affermano il contrario, a riprova delle ferocia famelica e assassina dei Goumier. Le donne divennero bottino di guerra, ma l’escalation di violenza non risparmiò neppure bambini e individui di mezza età di ambo i sessi. Chi aspettava i liberatori trovò i carnefici e si abbatte un altro mito della guerra giusta, dell’alleato sempre amico e solo liberatore.
“Tutti aspettavano cose straordinarie da questi alleati appunto come dai Santi, e tutti erano sicuri che al loro arrivo la vita sarebbe tornata normale ma anche molto migliore del normale” così raccontava Alberto Moravia nel romanzo “La Ciociara”.
Erano in tanti, vestiti con abiti scuri, alcuni avevano i capelli lunghi e gli orecchini al naso e ai lobi delle orecchie, erano in cerca di acqua e donne. Più si facevano vicini più la loro pelle scura li distinse dagli americani e li, fu viva la coscienza che coloro i quali avevano davanti non erano americani ma marocchini. Tantissimi padri o mariti venivano legati ad alberi o pali e assistevano alla violenza sulla moglie o sulla famiglia e, in alcuni casi i soggetti stuprati, che siano donne o uomini, venivano poi uccisi o altrimenti lasciati liberi di tornare nelle loro abitazioni a conservare dentro se il ricordo di questo martirio. I Goumier razziavano, rubavano soldi, oro, cibo, la biancheria intima di donne e bambini distruggevano le abitazioni e colpivano con i bastoni di ferro chiunque gli capitasse a tiro.[5]
Diverse le città laziali della provincia di Frosinone colpite, tra cui Esperia, Castro dei Volsci, Vallemaio, Sant’Apollinare, Ausonia, Patrica, Morolo , mentre nella provincia di Latina si segnalano le cittadine di Lenola, Roccagorga, Priverno, Maenza e Sezze. Oltre alla Regione Lazio, anche Sicilia, Umbria, Toscana, Campania e alcuni casi anche in Sardegna sono stati soggetti di questo drammatico fenomeno come ci racconta Emiliano Ciotti nel documentario a cura di Rai Storia “L’altra faccia della Liberazione”. Una madre di Poggibonsi violentata, il figlio di otto mesi al momento dell’accaduto strillava in continuazione, venne preso e lanciato dalla finestra. Altre donne si sono buttate dalla finestra di un treno in corsa per sfuggire da Goumier. La signora Antonina racconta, in un filmato dal titolo “Marocchinate, interviste alle donne violentate nel 1944 in Ciociaria dal CSF”, di come le sono stati strappati i vestiti, le torture, le umiliazioni e le violenze a cui è stata soggetta e di come, tenendola stretta per i capelli i Goumiers la portassero in giro.
Salvo Palombo abitante di Esperia (Fr) nel documentario “Bottino di Guerra” a cura di Marina Liuzzi per la Rai, racconta che le urla sentite quella notte erano paragonabili ad un inferno dantesco, sembravano delle belve che sbranavano gli animali in mezzo ai boschi. Resistere ai Goumier era pericoloso. Amanda Colozzi, anche lei abitante di Esperia, racconta (sempre nell’omonimo filmato) di come sua sorella avesse del sangue fra le gambe e ne chiese a sua madre il motivo; “è caduta”, questa è stata la risposta. Forte era il senso del pudore che accomunava tali vicende, sia che le vittime fossero uomini che donne, lo stupro era motivo di vergogna e le vittime si sentivano colpevoli.
Le violenze sessuali furono ampiamente documentate dai Carabinieri. Il Capitano Umberto Pittali riportò diversi casi di violenza ai danni di uomini e molti di questi vennero taciuti, neppure Don Alberto Terilli, parrocco di Esperia, venne risparmiato. Prima legato ad un albero viene fatto assistere alle violenze e queste, in seguito, verranno anche consumate su di lui finché non ne morirà. Cinquanta ore di premiato inferno, belve che sbranano gli animali per suggellare la gloria della loro vittoria contro i nemici, banchettando sul corpo dei civili. A parte le sessanta mila donne violentate ci furono mille persone uccise ad opera di stupro, non solo donne ma anche bambini. La maggior parte degli stupri è seguita da una gravidanza e nella maggior parte dei casi anche da aborti clandestini. Lo Stato italiano ha mandato delle commissioni mediche a verificare le condizioni della popolazione a seguito di questa invasione. Hanno trovato condizioni disastrose date dalla povertà ma anche da malattie. I mariti erano a conoscenza delle violenze a cui la moglie era stata soggetta o perché questa era stata stuprata davanti a loro oppure perché l’evento era stato raccontato per conto della moglie.
Lo Stato diede centocinquanta mila lire, il prezzo di una vacca, come rimborso alle donne vittime di stupro e dopo questo non si curò di nulla, alcune dovettero pagare di tasca loro le spese di cure mediche a seguito di stupro, alcune, come testimonia sempre Antonina “avevano le malattie dei marocchini”. Spesso le cose che turbano non fanno parte della storia ed è bene nasconderle. Nel 1945 il Tribunale militare di Norimberga ignorò lo stupro e la violenza sessuale come crimine perseguibile, solo nel 1949 la Convenzione di Ginevra incluse la prima norma internazionale contro la pratica dello stupro. Bisognerà aspettare il 1993 e il 1994 quando negli statuti del Tribunale Penale Internazionale per la Ex Jugoslavia e per il Ruanda, viene menzionato lo stupro come crimine contro l’umanità. Oggi le vittime si sono costituite in un’associazione per mantenere viva la memoria, “Associazione nazionale vittime delle marocchinate[6]”.
Maria Martina Bonaffini
Note:
[1] http://www.treccani.it/enciclopedia/seconda-guerra-mondiale
[2]https://culturafrusinate.wordpress.com/2013/11/28/la-violenza-e-gli-stupri-come-premio-maggio-44-le-marocchinate-in-ciociaria/
[3]Goumiers violenze sulle popolazioni del centro Italia www.youtube.com/watch?v=Cx1qV3oRkjk
[4]Goumiers violenze sulle popolazioni del centro Italia www.youtube.com/watch?v=Cx1qV3oRkjk
[5] L’altra faccia della liberazione https://www.youtube.com/watch?v=wU2aPNZyWr4
[6] vittimemarocchinate.blogspot.it