Referendum 17 Aprile: analisi per una scelta consapevole


 

Referendum 17 Aprile: analisi per una scelta consapevole

Domenica 17 Aprile, dalle ore 7:00 alle 23:00, verranno allestiti i seggi in occasione della consultazione elettorale sul referendum abrogativo in merito alle trivellazioni per l‟estrazione di petrolio e gas metano nelle acque territoriali italiane. Il corpo elettorale chiamato al voto sarà di 47.212.590 elettori ai quali vanno aggiunti i 4.029.231 elettori residenti all’estero. Come espresso dall’articolo 75 della Costituzione “La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi”. Lo scrutinio dei voti inizierà alle ore 23 di domenica 17 aprile, subito dopo la chiusura delle operazioni di voto. Coloro che prenderanno parte alla votazione dovranno presentarsi al seggio con Documento di Identità e, naturalmente, Tessera Elettorale. Se siete Italiani all’Estero o Fuori Sede potete comunque votare. Dal momento che si tratterà di un referendum abrogativo bisognerà votare SI qualora l‟elettore volesse cambiare parte della legge ed invece votare NO qualora volesse che la legge rimanga tale. Con questa analisi si vuole mettere a fuoco le problematiche principali che ultimamente hanno acceso il dibattito in merito al sopracitato referendum, l’obbiettivo è quello di analizzare la questione e i relativi dati nel modo più razionale possibile, in modo tale da fornire al lettore gli opportuni strumenti utili al fine di prendere una posizione propria che sia frutto, quindi, non di campagne propagandistiche bensì di una disamina attenta e puntuale in merito al tema oggetto del referendum. Prendendo in esame le argomentazioni „cardine‟ di entrambi gli schieramenti.
COME SI E’ ARRIVATI AL REFERENDUM?
A fine 2015 dieci regioni (Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Veneto ed Abruzzo, quest’ultimo ritiratosi a Gennaio dalla lista dei promotori), tramite i propri Consigli Regionali, avevano promosso sei quesiti referendari aventi per oggetto la ricerca e l’estrazione degli idrocarburi in Italia. In un primo momento, precisamente alla fine di Novembre, la Corte di Cassazione, cui spetta il vaglio dal punto di vista della legittimità, aveva dichiarato l’ammissibilità di tutti e sei i quesiti. A ciò seguiva l’intervento del governo che, giocando d’anticipo, nella Legge di Stabilità, modificava alcune delle norme contestate. In particolare si è stabilito che nuove operazioni di perforazione (ossia nuove concessioni) sono vietate “nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette”, tuttavia si fanno salve le concessioni già rilasciate che, seconda la normativa vigente, avrebbero una durata pari all’intera vita del giacimento. Così la Suprema Corte, l’8 Gennaio, dichiarava in un secondo momento l’inammissibilità di 5 dei 6 quesiti referendari. Ma su 2 dei 5 quesiti dichiarati inammissibili, le suddette Regioni hanno sollevato un conflitto di attribuzione di poteri, giudicando i temi ad oggetto delle modifiche della Legge di Stabilità di loro esclusiva competenza (in conformità con l’art. 117 della Costituzione). Tuttavia poco dopo, l’8 Gennaio 2016, anche la Corte Costituzionale si era definitivamente espressa confermando l’inammissibilità dei rimanenti quesiti, non per una questione di merito ma piuttosto di metodo. Rimane così ancora valido solamente il quesito riguardante la durata delle concessioni entro le 12 miglia dalle coste nazionali.
L’OGGETTO DEL REFERENDUM Il testo dell’unico quesito rimanente che andremo a votare il 17 Aprile, indetto dal Presidente della Repubblica il 15 Febbraio 2016 sarà il seguente: Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale“? In realtà, traducendo dal linguaggio giuridico, ciò che viene chiesto ai cittadini italiani, è: “volete che, a scadenza delle concessioni, vengano bloccati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche nel caso in cui ci sia ancora gas o petrolio?”
In Italia, infatti, vi sono piattaforme per l’estrazione di idrocarburi sulla terraferma in Basilicata, Emilia-Romagna e in mare nell’Adriatico, Ionio e Mar Mediterraneo al sud della Sicilia. A meno di 12 miglia marittime dalla costa, che equivalgono a 22,2 km, si è ancora in Acque Territoriali Italiane, ossia, secondo la Convenzione internazionale di Montego Bay del 1994, in quella porzione di mare in cui è piena la sovranità statale. Ed è in queste aree che, in caso di vittoria del SI, si bloccherà l’estrazione di petrolio e gas naturale. Allo stato attuale, su 69 concessioni per coltivazioni di idrocarburi in mare, sono in totale 21 le piattaforme attive nelle operazioni di estrazione entro le 12 miglia dalla costa. Il referendum quindi non avrebbe alcun effetto sulle rimanenti 48. In caso di vittoria del SI verrebbero chiusi i rubinetti delle sole piattaforme interessate, ma non immediatamente, bensì solo allo scadere delle concessioni attualmente in vigore, di norma di durata trentennale, che quindi non verrebbero rinnovate anche se la vita del giacimento non fosse completamente esaurita.
LA QUESTIONE AMBIENTALE
Diverse associazioni ambientaliste ed esperti, a partire da Greenpeace passando dal comitato NO TRIV, fino a WWF, si sono da subito attivate nella battaglia a sostegno del SI, fondando la propria campagna principalmente su questioni legate all’impatto ambientale e di carattere economico. In particolare viene sottolineato il pericolo costante di incidenti al quale si è sottoposti a causa della presenza di piattaforme dedicate all’estrazione di combustibili fossili. A sostegno di tale argomentazione, diversi sono gli esempi legati a disastri ambientali derivanti dall’attività estrattiva: a partire dal disastro della piattaforma petrolifera “Deepwater Orizon” (British Petroleum) nelle acque del Golfo del Messico nell’aprile 2010, definito con l‟espressione “marea nera” viste le ingenti quantità di greggio disperse al largo della costa della Louisiana in seguito ad un incendio causato da un’esplosione avvenuta durante operazioni di routine sulla piattaforma, provocando quello che è stato il peggior disastro ambientale della storia Statunitense. Ma anche più recentemente è possibile menzionare la fuoriuscita di petrolio avvenuta lo scorso 13 Marzo su di una piattaforma al largo delle isole Kerkennah (Tunisia) a soli 7 Km dalla costa a causa di una lesione della provetta di controllo, un tubo con un diametro di circa 10 mm, ad oggi non sono ancora disponibili i dati relativi alle conseguenze di questo incidente. Od ancora il disastro avvenuto lo scorso 5 Aprile in Francia, dove, sull’estuario della Loira, è esplosa una conduttura di greggio di proprietà della Total, che ha provocato il riversamento di 380mila litri di idrocarburi che potenzialmente potrebbe aumentare a circa 550mila litri. Ad aggravare il possibile scenario, si aggiungono le caratteristiche proprie del Mar Mediterraneo, un mare chiuso collegato a bacini più ampi solo attraverso gli stretti di Gibilterra (che lo collega all’Oceano Atlantico), dei Dardanelli (che lo collega al Mar Nero) e al Canale di Suez (che lo Collega all’Oceano Indiano). Inoltre, essendo anche poco profondo, le correnti marine risultano essere molto deboli. Sarebbero quindi devastanti le conseguenze per la flora e fauna marittima che si ripercuoterebbero su tutta catena alimentare fino all’essere umano.Peraltro alcuni geologi avvertono sui pericoli derivanti dalle procedure di estrazione nel caso specifico del Canale di Sicilia, un tratto interessato sia da fenomeni di vulcanesimo attivo sia da fenomeni di pseudo-vulcanesimo sedimentario il quale provoca periodicamente esplosioni sottomarine che scatenano terremoti indotti, ciò potrebbe causare numerosi problemi e a dirlo sono numerosi rapporti scientifici indipendenti, della Nato e dell‟Unione Europea. Di contro, non sono mancate le associazioni e i gruppi di esperti che si sono dichiaratamente espressi a favore del NO, attraverso campagne di promozione del “non voto”: una massiccia astensione, infatti, garantirebbe il mancato raggiungimento del Quorum. Ad esempio il gruppo “Ottimisti e Razionali”, fondato dal politico italiano Gianfranco Borghini, ha più volte sottolineato come una possibile vittoria del SI non scongiurerebbe i pericoli derivanti da disastri ambientali, in quanto al di là delle 12 miglia marine sarà comunque possibile continuare a condurre attività estrattive ed iniziarne di nuove. Inoltre, data la minore quantità di combustibile fossile estratto e l’attuale impossibilità di soddisfare il fabbisogno energetico nazionale tramite fonti rinnovabili, sarà dunque necessaria l’implementazione delle importazioni via mare. Dal loro punto di vista, il conseguente aumento del traffico di navi cisterna rappresenterebbe un pericolo maggiore rispetto alla presenza delle piattaforme stesse. Un’altra delle ragioni poi addotte riguarda l’oggetto delle estrazioni: in Italia la maggior parte dei giacimenti contengono per lo più Gas Naturale, di per sé meno inquinante del petrolio. In ultimo, bisogna considerare che tra tutti i paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo l’Italia non è l’unica in cui è consentita l’estrazione di idrocarburi, dunque un’eventuale vittoria del SI limiterebbe i potenziali rischi ma non potrebbe scongiurare il pericolo di disastri ambientali in maniera assoluta.
LA QUESTIONE ECONOMICA
Per quanto riguarda le argomentazioni di materia economica, uno dei cavalli di battaglia del fronte del NO riguarda il dato occupazionale, in particolare l’ingente perdita di posti di lavoro dovuta alla chiusura degli impianti interessati. Un esito positivo del referendum avrebbe un impatto devastante sull’economia di alcune regioni, si pensi per esempio alla sola Emilia Romagna in cui perderebbero il lavoro circa 6000 persone in 2 anni. In Italia sono circa 11.000 le persone che lavorano direttamente nelle attività estrattive ed oltre 21.000 coloro che lavorano nell’indotto.In realtà i dati mostrano una situazione non così catastrofica, dal momento che soltanto il 10% del totale degli occupati lavora entro le 12 miglia, il dato da prendere in considerazione è quello di 3.200 posti di lavoro che però potrebbero essere facilmente riassorbite dalle stesse compagnie nelle piattaforme off-shore (oltre le 12 miglia) le quali verranno comunque implementate al di là dell’esito referendario, dal momento che anche in caso di vittoria del SI, all’esaurimento del giacimento, tutte le piattaforme poste all’interno delle 12 miglia verranno smantellate. Un dato economico di cui tener conto riguarda gli introiti diretti alle casse dell’erario derivanti dalle cosiddette “royalties‟, ossia i diritti che lo Stato detiene e che concede alle imprese che si occupano dell’estrazioni in acque territoriali. Secondo la legislazione fiscale italiana in materia, le società sono tenute a versare delle imposte equivalenti al 7% del valore dell’estrazione del petrolio e il 10% del valore dell’estrazione del gas, ma non tutta la quantità estratta è soggetta a tassazione: infatti, per le prime 50.000 tonnellate di petrolio e per i primi 80 milioni di m3 di gas estratti ogni anno, a questo sistema si aggiunge anche un particolare meccanismo di incentivi ed agevolazioni fiscali tra le più favorevoli in Europa. Se dovesse vincere il SI, l’Italia rinuncerebbe a questo introito. Nell’intero 2015 sono stati soltanto 352 i milioni incassati dallo Stato italiano, di cui la quota delle piattaforme entro le 12 miglia è stata di soli 38 milioni. Per di più è stato stimato dal Ministero per lo Sviluppo Economico che considerando la totalità delle risorse petrolifere presenti nel sottosuolo marino italiano, queste sarebbero sufficienti a soddisfare il fabbisogno nazionale di greggio per appena 8 settimane. Partendo da questo presupposto, i fautori del SI ritengono che rinunciare a queste “royalties‟ non sarebbe un sacrificio rilevante in termini economici, invece sarebbe opportuno, oltre che economicamente vantaggioso, valorizzare altri comparti dell‟economia nazionale, come:
– il turismo che contribuisce ogni anno al 10% del PIL, dà lavoro a 3 milioni di persone, per un fatturato di circa 160 miliardi di euro;
– la pesca che si esercita lungo i 7.456 km di costa entro le 12 miglia marine, produce il 2,5% del PIL e dà lavoro a quasi 350.000 persone;
– il patrimonio culturale che vale 5,4% del PIL e che dà lavoro a circa 1,5 milioni di persone, con un fatturato annuo di 40 miliardi di euro;
– il comparto agroalimentare, che vale l’8,7% del PIL, dà lavoro a 3,5 milioni persone e nel 2014 ha esportato prodotti per un fatturato di 34,4 miliardi di euro;
– la piccola e media impresa, che conta circa 4,2 milioni di aziende, cioè il 99,8% del totale delle industrie italiane, che costituisce il motore del sistema economico nazionale, che fattura 230 miliardi di euro l’anno e contribuisce al totale delle esportazioni del “MADE IN ITALY” per il 53,6%.”
CONCLUSIONI
In conclusione, alla luce dei fatti esposti riteniamo che dall’esito del referendum, qualunque esso sarà, dal punto di vista ambientale, le conseguenze derivanti non produrranno degli effetti rilevanti, in quanto non si escluderebbe in maniera assoluta il rischio di disastri. Così come dal punto di vista economico le eventuali perdite potrebbero essere facilmente riassorbite nel breve-medio periodo, sia a un punto di vista meramente economico che da un punto di vista occupazionale. Dunque se sul piano fattuale le conseguenze del referendum, a prescindere dall’esito, non dovrebbero essere né del tutto positive, né del tutto negative, è indubbio il valore ed il peso politico che assume questa votazione: i cittadini italiani hanno la possibilità di esprimere un parere in grado di lanciare un messaggio circa le politiche statali presenti e future in merito di strategia energetica nazionale, così da potere influenzare il sistema decisionale italiano, che sarà costretto a tenere conto della volontà dell’elettorato anche a distanza di anni, così come già accaduto nel caso del referendum sul nucleare del 1987.

 Simone Cacioppo

 Lorenzo Gagliano

 Giovanni Tranchina

FONTI
 www.greenpeace.it;
 www.sviluppoeconomico.gov.it;
 ottimistierazionali.it;
 “Referendum sulle trivelle, 10 domande (e risposte) per capire” , Jacopo Giliberto, Il Sole 24 Ore, 20/01/216;
 Greenreport.it;
 Statistiche, Nov. 2015, Unione Petrolifera

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