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La rubrica settimanale con le nostre proposte
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Not about defence, not about common: le difficoltà dell’UE nei confronti della politica di sicurezza e difesa comune
Nel corso della riunione del 24 febbraio 2015 la Commissione per gli affari esteri del Parlamento europeo(AFET) ha sottolineato la necessità di rendere la politica estera dell’Unione europea più ambiziosa, proattiva, credibile e strategica. Di fronte ai limiti fissati dai trattati, dalla capacità degli Stati membri e dei loro interessi nazionali, l’istituzione di una sicurezza comune e di una politica di difesa rimane molto difficile. Procedendo in tre tappe, questo articolo si propone di mostrare, in un primo momento, le priorità definite dai programmi di politica estera soprattutto dopo l’avvento di nuove sfide presenti nell’agenda dell’Unione, in particolare la crisi migratoria nel Mediterraneo. In in secondo momento ci sarà un approfondimento dei limiti della PSDC, imposti dal trattato sull’Unione europea (TUE). Infine, analizzeremo l’operazione EUNAVFOR MED, mettendo in evidenza l’impatto dei limiti nel caso specifico.
Le nuove priorità della politica di sicurezza e di difesa comune
La politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) dell’Unione europea è parte integrante della sua politica estera e di sicurezza comune (PESC). Essa comprende la definizione progressiva di una politica europea di difesa comune che mira a consentire all’UE di sviluppare le sue capacità militari e portare avanti delle missioni al di fuori dei suoi confini ai fini del mantenimento della pace, della prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite. Nel 1992, fu il Trattato di Maastricht a prevedere per la prima volta una politica di difesa propria dell’unione. Tuttavia, lo sviluppo di quest’ultima è stato rallentato dal Regno Unito, il quale vedeva nell’ipotetica politica di difesa comune una perfetta concorrente della NATO (e dei suoi interessi). È stato solo dopo il vertice franco-britannico di Saint-Malo il 4 dicembre 1998 che la situazione si sblocca e nasce la PESC: la “Politica europea di sicurezza e di difesa”. Nei primi mesi del 2015, la commissione per gli affari esteri del Parlamento europeo ha sostenuto che la PESC avrebbe dovuto basarsi su tre punti fondamentali:
-Sostenere i vicini orientali e contenere la Russia: lo scopo era quello di investirsi sui programmi d’indipendenza, di sovranità, di democratizzazione dei paesi che desideravano avvicinarsi all’Unione.
-Rafforzare la sicurezza e la stabilizzazione dei paesi del sud con l’obiettivo di promuovere la sicurezza, la democrazia, i diritti umani e la protezione delle minoranze etniche e religiose.
-Migliorare la difesa e sicurezza: lo scopo era quello di sollecitare tutti gli Stati membri a impegnarsi di più per la realizzazione di una politica estera efficiente ed efficace.
Al fine di rispondere ai nuovi scenari geopolitici, alle minacce e le sfide globali, pochi mesi dopo gli eurodeputati avevano chiesto l’adozione di una strategia comune per affrontare le nuove sfide della sicurezza dell’UE. Infatti la commissione per gli affari esteri aveva sottolineato due questioni fondamentali. Da un lato, la capacità dell’Unione di intervenire nella gestione dell’intero spettro di una crisi, e non solo concentrarsi negli strumenti post-conflitto, e dall’altro lato, la capacità degli Stati membri di dimostrare un impegno, e solidarietà al fine di fornire una maggiore forza al livello economico e militare. Di fronte alle nuove sfide, il Consiglio europeo ha deciso di pronunciarsi. In effetti, il 23 aprile 2015, in nome dei principi dell’Unione europea, il Consiglio europeo, in una riunione speciale, ha affermato che la priorità era la gestione della crisi nel Mediterraneo, e che bisognava impegnarsi a:
-Rafforzare la presenza in mare migliorando le operazioni Triton e Poseidon
-Lottare contro la tratta conformemente al diritto internazionale esortando gli Stati membri a collaborare con Europol, Frontex, l’uffucio europeo di sostegno per l’asilo (UESA), e Eurojust,
-Prevenire l’immigrazione irregolare intensificando la cooperazione con i partner africani, e con la Turchia,
-Rafforzare la solidarietà e la responsabilità interne a vari livelli per garantire la sicurezza dell’Unione.
Le dichiarazioni sono diventati delle conclusioni ufficiali il 18 maggio 2015. Il Consiglio era ben consapevole del fatto che bisognava fissare obiettivi precisi per la PESD. Quel giorno infatti aveva sottolineato l’importante contributo che le missioni PSDC portavano per le operazioni di pace e per la stabilità internazionale, ma aveva anche affermato la necessità di migliorare l’efficacia, l’impatto e visibilità. Alla fine, si può dire che durante la prima metà del 2015, le istituzioni hanno voluto migliorare la politica estera dell’UE in termini pratici. Per questo motivo, le commissioni parlamentari, il Consiglio europeo e il Consiglio d’Europa hanno deciso di intraprendere un modo per rendere la politica di sicurezza e di difesa davvero “comune”. Tuttavia, sembra importante chiarire i limiti imposti dal trattato sull’Unione europea (TUE), che ostacolano ogni tipo di iniziativa che potrebbe rendere l’Unione europea una potenza in grado di garantire la sicurezza, non solo all’interno ma anche al di fuori dei suoi confini stessi.
Not about defence, not about common: i limiti imposti dal Trattato sull’Unione europea (TUE)
La PSDC nasce a causa di tensioni diverse: la tensione tra la Francia e il Regno Unito sulla direzione della politica estera, la tensione tra l’UE e gli Stati Uniti sulle misure da adottare durante un conflitto, tra i paesi pro-NATO e i paesi dell’Est. L’istituzione di una politica di difesa era necessaria al fine di poter creare un programma per mettere d’accordo tutti i paesi dell’UE. Tuttavia, anche dopo le Saint Malo le tensioni non hanno visto la loro fine. Le cause delle debolezze dell’azione esterna sono rintracciabili negli art. 42 e 43 del trattato sull’Unione europea, già leggendo l’art. 42§2 il concetto di difesa è già in questione:
La politica dell’Unione a norma della presente sezione non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri, rispetta gli obblighi di alcuni Stati membri, i quali ritengono che la loro difesa comune si realizzi tramite l’Organizzazione del trattato del NordAtlantico (NATO), nell’ambito del trattato dell’Atlantico del Nord, ed è compatibile con la politica di sicurezza e di difesa comune adottata in tale contesto.
Questo dimostra che gli Stati membri vogliono che la PSDC non cambi le loro politiche estere, o i rapporti già instaurati con la NATO. Così la PSDC è percepita come una politica di supporto alla NATO o degli Stati membri, in quanto li aiuta in missioni che risultano troppo costose, o per le quali un singolo paese non possiede i mezzi. Quindi è chiaro che nessuno vuole che la PSDC sia considerata una minaccia per gli interessi nazionali. Inoltre, art. 43 stabilisce che l’UE può impegnarsi in missioni che:
[…] comprendono le azioni congiunte in materia di disarmo, le missioni umanitarie e di soccorso, le missioni di consulenza e assistenza in materia militare, le missioni di prevenzione dei conflitti e di mantenimento della pace e le missioni di unità di combattimento per la gestione delle crisi, comprese le missioni tese al ristabilimento della pace e le operazioni di stabilizzazione al termine dei conflitti. Tutte queste missioni possono contribuire alla lotta contro il terrorismo, anche tramite il sostegno a paesi terzi per combattere il terrorismo sul loro territorio.
Tuttavia, dobbiamo considerare che la PDSC non ha i mezzi e le capacità per gestire un conflitto su larga scala per i motivi sopra citati. Di conseguenza, tutte le operazioni intraprese dall’UE hanno bisogno di un sostegno “esterno”. Ciò significa che le operazioni richiedono la cooperazione dell’ONU o la NATO. Per quanto riguarda il concetto di comune, bisogna considerare tre punti fondamentali:
-Secondo il TUE gli Stati membri contribuiscono alle operazioni volontariamente
-La Danimarca ha espresso fin dall’inizio che non avrebbe partecipato all’elaborazione e attuazione delle azioni della PSDC,
-Gli Stati membri hanno differenti capacità militari, e inoltre mettono a disposizione della PDSC dei mezzi che non sono realmente proporzionati alle loro capacità.
Questo dimostra che, alla fine la PSDC ha bisogno di essere ristrutturata, armonizzata, e considerata come vero potenziale da tutti gli Stati membri al fine di garantire la sicurezza dell’Unione.
Il caso EUNAVFOR MED
L’operazione EUNAVFOR MED è una missione condotta dall’Unione europea nel Mediterraneo centrale, istaurata dopo i naufragi che hanno fatto centinaia di vittime. Il 18 maggio 2015 i ministri degli affari esteri e della difesa degli Stati membri hanno deciso di mobilizzare una operazione navale volta a smantellare le reti di trafficanti nel Mediterraneo, al fine di salvare vite umane in mare. Lo scopo era anche quello di testare l’efficacia della PSDC davanti le nuove minacce. Il 23 aprile 2015, il Consiglio ha annunciato che l’UE ha mobilitato tutti gli sforzi per evitare naufragi futuri, e che l’operazione avrebbe avuto inizio nel mese di giugno. L’operazione è stata composta da tre fasi:
-La prima fase si concentra sul monitoraggio e il contrasto della tratta umana nel Mediterraneo centrale (dal 22 giugno al 7 ottobre 2015).
-La seconda fase dell’operazione ha come obiettivo il controllo e la tracciabilità delle navi sospette (fase in corso).
-La terza fase, ancora da painificare, permetterebbe la rimozione delle navi e delle risorse correlate, e la cattura dei contrabbandieri e trafficanti.
All’inizio dell’operazione 22 di 28 Stati membri hanno contribuito con assistenza logistica ed economica. Il budget del progetto è 11.820.000 milioni di euro, previsto per un periodo di 12 mesi. Durante la prima fase 7 paesi su 22 partecipanti hanno mobilitato dei mezzi navali militari: l’Italia (con la porta-aerei Cavour), il Belgio (con la Fregata Karel Doorman), la Francia (con la fregata La Fayette), la Slovenia (con la nave da pattuglia Svetlyak), la Spagna (con la fregata Santa Maria), la Germania (con nave Berlin), e il Regno Unito (con la fregata tipo 23). Durante la seconda fase dell’operazione, iniziata l’8 Ottobre, 2 Stati si sono aggiunti all’operazione in mare aperto, e sono stati dispiegati 7 mezzi aerei in più. Come detto in precedenza l’Unione europea non ha creato questa operazione come “Unione“; gli Stati che partecipano sono stati che vogliono, più di altri, contenere i flussi migratori nei loro territori. Inoltre, i mezzi utilizzati non sono dello stesso livello: alcuni stati membri hanno fornito le navi, altri forze aeree, altre forze navali e aeree, e altri hanno contribuito finanziariamente. Ora l’operazione è bloccata tra due limiti: da un lato, da Roma (centro operativo dell’operazione) attendono l’autorizzazione del Consiglio di sicurezza per iniziare la terza fase della missione, d’altra parte, il 16 febbraio 2016 le navi della Nato sono entrate nell’Egeo sotto richiesta di Grecia,Germania e Turchia (la quale beneficierà di 3 miliardi di euro, stanziati dai fondi dell’Unione e dagli Stati membri) e fino ad ora non vi è alcun livello di cooperazione tra le due operazioni, anche se l’obiettivo è lo stesso. La necessità di un intervento NATO non è un evento eccezionale, dal momento che a causa delle limitazioni poste dagli articoli 42 e 43 del TUE ancora si ha il bisogno di aiuto “militare”. A questo punto non resta che chiedersi che tipo di potere è l’Unione europea, e in particolare quali sono gli sviluppi per migliorare la PSDC.
Maria Elena Argano
Per saperne di più:
· Stephan Keukeleire, Tom Delreux, The Foreign Policy of the European Union, “The common security and defence policy”, Palgrave Macmillan, The European Union Series, 2014, pp. 172-195
· Commission des affaires étrangères «L’UE doit libérer son potentiel interne pour façonner les politiques internationales»:
· Commission des affaires étrangères «L’UE doit s’adapter sans plus tarder aux nouveaux défis de sécurité»:
· Conseil de l’Union européenne «Conclusions du Conseil sur la PSDC» : http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-8971-2015-INIT/fr/pdf
· Conseil européen et Conseil de l’Union européenne «Réunion extraordinaire du Conseil européen – déclarations»: http://www.consilium.europa.eu/fr/press/press-releases/2015/04/23-special-euco-statement/
· Articles de Nea say de Eulogos sur EUNAVFOR MED http://www.eu-logos.org/eu-logos_nea-say.php?idr=4&idnl=3720&nea=170&lang=fra&arch=0&term=0
· Site de l’EEAS «Lutte contre le trafic de clandestins en Méditerranée : l’UE décide de mener une opération navale»:http://eeas.europa.eu/top_stories/2015/190515_fac_defence_fr.htm