Nuovi venti di guerra in Libia: il ruolo dell’Ue e dell’Italia
La situazione politica in Libia
Da quando il regime di Gheddafi è stato rovesciato nel 2011, il paese nordafricano è sprofondato nel caos, dove due governi rivali, ognuno sostenuto da frange di ex ribelli, rivendicano la propria autorità: uno è il governo scaturito dalle elezioni del giugno 2014 situato nella città orientale di Tobruk, braccio politico del Generale Haftar, l’ex generale dei tempi di Gheddafi che, sconfitto in Ciad nel 1987, si ritirò poi in America e tornò in Libia per combattere il dittatore nel 2011. La sua autorevolezza garantisce l’appoggio militare di due partner internazionali di peso come l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti i quali, in passato, hanno condotto raid aerei contro obiettivi dell’ISIL e di Alba Libica, una formazione di milizie originarie di Tripoli e Misurata vicini ai Fratelli Musulmani. L’altro è il governo di Tripoli sostenuto dal Nuovo Congresso Nazionale Generale e dalla stessa coalizione Alba Libica che a sua volta gode di un appoggio non troppo nascosto di Qatar e Turchia. Inoltre dal 2014, dopo la conquista della città di Derna e quella più recente di Sirte, lo Stato Islamico, per la prima volta fuoriuscito dai confini di Siria e Iraq, rappresenta la terza forza all’interno della Libia. Per ovviare alla piaga dell’indeterminatezza politica, che di fatto rende la Libia uno “Stato fallito”, il 23 dicembre 2015, con la risoluzione ONU n°2259, si è adottato ufficialmente l’ “Accordo Politico Libico” che prevede un governo di unità nazionale e la condivisione del potere tra il parlamento di Tobruk e quello di Tripoli e intima agli Stati membri di relazionarsi esclusivamente con il governo di unità nazionale e, all’articolo 12, stabilisce che si può intervenire militarmente contro l’ISIL solo “previa richiesta del governo libico.” Tuttavia questo governo, con a capo Faiez Serraj accompagnato da un Consiglio Presidenziale di 9 membri, non svolge le proprie funzioni nella capitale Tripoli (sede dell’intera macchina statale libica, dei Ministeri, della Banca Centrale e della Società del Petrolio) la quale è ancora controllata dalle milizie di Alba Libica, bensì da un albergo di Tunisi, inoltre, il Parlamento formatosi non riesce a funzionare a causa delle difficoltà a riunirsi raggiungendo il quorum legale. Questa situazione di empasse va a tutto vantaggio dell’avanzata nel Paese dell’ISIL e degli affari illeciti condotti dai trafficanti di esseri umani. Per far fronte a questi problemi, che tanto preoccupano la comunità internazionale tanto da far figurare la loro risoluzione in cima alle agende di politica estera delle principali cancellerie europee e d’oltre oceano, è in corso un negoziato ONU, guidato dal generale italiano Paolo Serra, finalizzato ad un accordo che consenta al governo di unità nazionale di operare nella Capitale. I recenti bombardamenti effettuati da droni statunitensi partiti dalle basi militari siciliane su territorio libico, l’aumento del numero di aerei e navi da guerra britanniche nell’isola di Cipro, congiuntamente all’offensiva dell’esercito fedele al Parlamento di Tobruk condotta nella città di Bengasi contro lo Stato Islamico costretto a ripiegare e le ultime notizie non ufficialmente smentite della presenza entro i confini libici di 180 militari francesi impegnati in operazioni segrete, hanno riacceso l’attenzione dei media su quella che viene definita da tempo la seconda guerra civile libica, anche se, come si può intuire, sarebbe più opportuno identificarla per ciò che realmente è: l’ennesimo conflitto interno internazionalizzato. Infine, il parlamento di Tobruk ha rinviato alla prossima settimana il voto sul governo unitario sponsorizzato dall’Onu, allontanando con ciò la soluzione politica della crisi. Di fatto la Libia continua ad avere tre governi: quello di Serraj e quelli di Tripoli e di Tobruk.
Il ruolo dell’Unione Europea e l’Operazione Sophia
Secondo un documento scritto dall’ufficiale italiano Credendino, il quale è a comando dell’ “Operazione Sophia”, indirizzato alla Comitato Militare dell’Unione Europea e al Comitato Politico e di Sicurezza, catalogato come “riservato” e rilasciato da un’anonima fonte autorevole di uno dei Paesi dell’UE a Wikileaks, l’Unione Europea avrebbe in programma di attuare la volontà militare, espressa dall’ European Union Military Committee (Eumc – un dipartimento in cui siedono i Capi di Stato Maggiore dell’Europa), di prepararsi ad un intervento militare diretto in Libia. L’ Op. Sophia (EUNAVFOR MED) avviata nel giugno 2015, con il sostegno di 22 nazioni europee su 28 ( e l’indicazione di partner potenziali come l’Unione Africana, l’Onu, la Nato, la Lega Araba e altri collaboratori come Egitto, Tunisia e, quando ci sarà un governo legittimo, la Libia), nasce, in coordinamento con l’agenzia FRONTEX, come contrasto alla crisi migratoria e il relativo sfruttamento economico della situazione da parte dei trafficanti di esseri umani nell’area del Mediterraneo centrale e si articola in 3 fasi principali.
1)La prima fase sarebbe già stata completata il 7 ottobre scorso e riguardava operazioni di intelligence volte a dispiegare le forze e raccogliere informazioni sul modus operandi dei trafficanti e contrabbandieri di esseri umani tramite l’uso di droni.
2)La seconda fase, attualmente in corso, prevede che la Task Force possa eseguire, nel rispetto del diritto internazionale, fermi, ispezioni, sequestri e dirottamenti di imbarcazioni sospettate di essere usate per il traffico o la tratta di esseri umani. Tale fase è stata a sua volta suddivisa in una sotto-fase detta “2A” che comporta l’uso di 16 navi e velivoli di diversi paesi dell’UE per fermare i trafficanti in acque internazionali, attualmente in corso, ed una in acque territoriali libiche, che potrà iniziare a seguito di una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e dell’invito del governo libico. Nel rapporto l’ufficiale Credendino scrive: “Da un punto di vista militare, sono pronto a passare alla fase 2B in Acque Territoriali libiche, […] ma ci sono una serie di ostacoli politici e legali che devono essere affrontati prima che io possa raccomandare questa transizione”. Infatti è necessario il permesso del governo libico per entrare nelle proprie acque territoriali, inoltre bisogna avere la sicurezza su chi avrà la competenza di giudicare i sospetti trafficanti arrestati.
3)La terza fase, volta a neutralizzare le imbarcazioni e le strutture logistiche usate dai trafficanti, fa riferimento ad una eventuale presenza di truppe dell’Unione Europea in Libia, il Ministero degli esteri italiano fa sapere che “anche questa Fase necessita di Risoluzione del’ONU e del consenso e cooperazione da parte del corrispondente Stato costiero”. Inoltre il rapporto non esclude di attuare operazioni anche contro le milizie dello Stato Islamico in conformità con l’art. 12 della risoluzione ONU n° 2259 sopracitata. Dal rapporto dell’ufficiale Credendino si evince però anche la consapevolezza di dover fronteggiare numerosi problemi: uno tra tutti il fatto che le due autorità locali rivali (quella di Tripoli e quella di Tobruk) hanno dichiarato che non possono tollerare una possibile operazione europea su suolo libico, inoltre mancherebbe anche l’avallo del governo di unità nazionale di Serraj, il quale, per paura di perdere ulteriormente la sua fragile legittimazione popolare, sarebbe restio nel chiedere un intervento diretto sul territorio per non veicolare l’idea di essere un “governo fantoccio” in mano agli occidentali. Come contropartita è stato quindi proposto nel rapporto di offrire alle varie compagini l’addestramento della marina e della guardia costiera, ma con il rischio concreto che questo possa rivelarsi un boomerang nel lungo periodo. Il documento avverte anche le istituzioni politiche dell’UE di non pubblicizzare la missione per evitare che l’operazione venga percepita dai migranti come una “missione di salvataggio” che li incentiverebbe ad intraprendere il viaggio della speranza. Questo “errore” sarebbe stato commesso con l’operazione dell’Agenzia Frontex, perciò viene suggerito che “la strategia d’informazione deve evitare di suggerire che il focus dell’intervento sia il salvataggio dei migranti, ma enfatizzare al contrario che lo scopo dell’operazione è ostacolare il giro d’affari del traffico dei migranti”. Alla luce di ciò non è realistico domandarsi SE e con quali modalità ci sarà un intervento militare in Libia bensì QUANDO avverrà. Viene naturale chiedersi quale sia l’immagine che l’Unione Europea vuole dare di sé e quale sia la sua reale volontà riguardo il problema dell’immigrazione,
il quale, solo nell’ultimo anno, ha provocato un numero di vittime stimato superiore a 1800, vale a dire 20 volte in più rispetto al 2014. Dato che fermare l’immigrazione è impossibile, è necessario gestirla.
il quale, solo nell’ultimo anno, ha provocato un numero di vittime stimato superiore a 1800, vale a dire 20 volte in più rispetto al 2014. Dato che fermare l’immigrazione è impossibile, è necessario gestirla.
Il ruolo dell’Italia
«Il 2016 si annuncia molto complicato a livello internazionale, con tensioni diffuse anche vicino a casa nostra. L’Italia c’è e farà la sua parte, con la professionalità delle proprie donne e dei propri uomini e insieme all’impegno degli alleati». Queste sono le parole pronunciate dal Primo Ministro italiano Matteo Renzi all’inizio di quest’anno alle quali sono seguite numerose altre dichiarazioni del Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e del Ministro della Difesa Roberta Pinotti, anche nei giorni scorsi, che facevano riferimento alla possibilità di un intervento militare italiano in Libia all’interno di un quadro internazionale di legalità. Cioè a condizione che vi sia l’avallo dell’ONU e del governo libico. Inoltre non si è evitato, anche all’estero, di sbilanciarsi a favore di una possibile guida italiana in caso di intervento militare, il quale sarà ovviamente presentato come “operazione di peacekeeping e umanitaria”, proprio come l’esperienza fallita del 2011 a guida francese. Ma quale governo libico? L’italia svolge un ruolo di primo piano da lungo tempo affinchè si arrivi alla definizione di un governo libico stabile, questo perché all’Italia conviene avere un processo politico che funzioni in Libia per poter tutelare i propri interessi: prima di tutto, per poter lavorare sull’immigrazione, uno degli argomenti più controversi su cui si giocano molte battaglie della politica interna italiana. In secondo luogo l’Italia ha bisogno di un governo per gestire i suoi interessi energetici ed economici, basti ricordare infatti che ENI è stata, e lo è tutt’ora, la maggiore azienda estera che opera in Libia proprio a danno dei concorrenti francesi e inglesi. Per l’Italia quindi lo Stato fallito libico preoccupa quasi quanto lo Stato Islamico.
Guerra all’ISIL
Ed è proprio lo Stato Islamico che possiede una consistente quota dei problemi relativi alla Libia. La sua presenza su questo territorio, infatti, fa “gola” a molti Stati ansiosi di proiettare nell’opinione pubblica dei propri cittadini, un’immagine di sé molto attiva nei confronti del contrasto all’ISIL. Il riferimento è rivolto soprattutto a Stati Uniti, Francia e Regno Unito. Nei palazzi della diplomazia, molti rappresentanti di paesi occidentali hanno confermato la possibilità di effettuare incursioni aeree e operazioni delle forze speciali, in aggiunta al piano di “stabilizzazione della sicurezza” guidato dall’Italia, pronta, dal canto suo, ad assicurare consulenza e addestramento.
Conclusioni
In conclusione una stabilizzazione politica della Libia è certamente auspicabile, sia per assicurare la sicurezza internazionale, sia soprattutto per ridare dignità e speranza di sviluppo al popolo libico esausto, come sempre, infatti, sono i civili a pagare maggiormente le conseguenze degli errori politici e militari. Per questo motivo è necessario favorire la soluzione politica rispetto a quella militare e fare tesoro delle esperienze passate, soprattutto quelle recenti, e quelle in corso (es. guerra in Siria), i cui risultati sono molto discutibili per non dire disastrosi.
In conclusione una stabilizzazione politica della Libia è certamente auspicabile, sia per assicurare la sicurezza internazionale, sia soprattutto per ridare dignità e speranza di sviluppo al popolo libico esausto, come sempre, infatti, sono i civili a pagare maggiormente le conseguenze degli errori politici e militari. Per questo motivo è necessario favorire la soluzione politica rispetto a quella militare e fare tesoro delle esperienze passate, soprattutto quelle recenti, e quelle in corso (es. guerra in Siria), i cui risultati sono molto discutibili per non dire disastrosi.