La rivolta araba di Giulio Regeni contro l’ipocrisia del faraone


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La rivolta araba di Giulio Regeni contro l’ipocrisia del faraone

Il Parlamento egiziano è totalmente in mano
al potere di Al-Sisi, appoggiato dal più alto numero di poliziotti e militari
della storia del Paese, mentre l’Egitto è in coda a tutte le classifiche
mondiali per il rispetto della libertà di stampa
“. 
Con queste parole
il ricercatore Giulio Regeni, ritrovato privo di vita al Cairo, denunciava
l’attuale politica del Presidente egiziano Al-Sisi
e della mancanza di dialogo con le forze dell’opposizione. Regeni non è stato
il solo a esprimersi in questi termini, già tempo addietro alcuni report
istituzionali di Human Right Watch (HRW) avevano prepotentemente richiamato
all’attenzione le istituzioni internazionali di vigilanza affinché prendessero
le dovute precauzioni, ma la diplomazia internazionale è rimasta spesso e
volentieri sorda di fronte a queste preoccupazioni.
Ma andiamo con ordine. La rivoluzione del 2011
di Piazza Tahrir aveva creato
nell’immaginario collettivo egiziano, e non solo, illusioni che una nuova
classe politica, costituita per la maggior parte da giovani universitari come i
Fratelli Musulmani, potesse prendere in mano un Paese sull’orlo del baratro e
creare le condizioni per un nuovo Egitto, da consegnare agli egiziani e alla
Comunità Internazionale. Un sogno che ben presto si è dovuto confrontare e poi
scontrare con i residui di un sistema ancorato all’apparato militare.
Successivamente alla vittoria del partito dei Fratelli Musulmani e la conseguente
nomina di Morsi a Presidente, una serie di vicissitudini interne, aggravate
dalla crisi economica che aveva impoverito le classi medie e l’idea di limitare
il potere militare (rimasto legato al passato), avevano generato conseguenze,
forse prevedibili per i più esperti, di cui oggi l’intero sistema ne piange le
conseguenze: la creazione di una nuova opposizione, esclusivamente militare,
che aveva puntato il dito sulla incapacità di Morsi a porsi come uomo di
fiducia per l’Egitto. Così necessitava un ulteriore cambiamento e,  con un colpo militare, il Presidente Morsi
venne destituito, i Fratelli Musulmani uscirono di fatto dal sistema
decisionale e il capo dell’esercito, Abdel
Fattah al-Sisi
annunciò la sospensione della Costituzione. Nel 2014 venne
proclamato Presidente, vincendo le elezioni con oltre il 90% dei consensi, la
cui regolarità è stata messa in dubbio fin dall’inizio. Comincia, cosi, la
nuova era del fantasma di Mubarak.
In un sistema
democratico il dialogo, la trasparenza e la partecipazione rappresentano i
principi insindacabili per la sopravvivenza dello stesso. In Egitto questo tipo
di sistema, oggi, non esiste, lo testimoniano tantissime lettere di protesta di
HRW, lo testimoniava soprattutto Giulio Regeni. Il facoltoso dottorando della Cambridge University stava portando
avanti le sue silenziose, ma non troppo, indagini sul sistema sindacalista del
regime. Nelle sue lettere
Giulio scriveva che la repressione e cooptazione da parte del regime avevano
seriamente indebolito le iniziative di stampo liberale e associativo, al punto
che le due maggiori federazioni, la Edlc ed Efitu, non riunivano la loro
assemblea generale dal 2013. Accuse limpide, in cui traspariva la delusione
verso un sistema che soffocava ogni idea e principio nato dalla rivoluzione
araba, per la quale molti suoi coetanei avevano pagato con il sangue il prezzo
della libertà. Giulio ripeteva sempre che sfidare lo stato di emergenza e gli
appelli alla stabilità e alla pace sociale giustificati dalla “guerra al
terrorismo”, significa oggi, pur se indirettamente, mettere in discussione
la retorica su cui il regime giustifica la sua stessa esistenza e la repressione
della società civile. Significava, quindi, sfidare apertamente Al-Sisi. Studiava la natura dei
movimenti operai e la fase delicata che stanno attraversando, spiegava
attentamente i motivi della loro repressione, vedendo la causa in un sindacalismo
filo-governativo troppo oppressivo. Nel 2011 dopo le rivolte di piazza Tahrir, gruppi di sindacati indipendenti
e il partito Wasat erano pronti a
creare nuove forze politiche, aumentando il tasso di democraticità. Ma questa
splendida realtà è stata insabbiata dal golpe militare del 2013. Giulio si
stava occupando di tutto questo, un argomento che non dovrebbe risultare
scomodo per un Paese che vuole giungere ad una transizione democratica
effettiva, ma che realmente lo diviene se questo sistema lo si vuol contrastare
in tutti i modi, cosi come Giulio e molti altri attivisti stavano tentando di
fare. Il “Foreign Fighters” della
primavera araba, non si serviva di cinture esplosive per gridare la sua rabbia,
ma di una penna e di una agenda dove scrivere e esprimere il rancore verso i
poteri autarchici del sistema di Al-Sisi.
Lo denunciava all’Italia e al giornale presso cui scriveva, Il Manifesto, dietro anonimato, proprio
per il timore di subire ritorsioni da chi non gradiva il suo modo di esporsi. Però
non si è mai preoccupato di ciò, continuando in maniera esemplare ad appoggiare
chi sosteneva un Egitto libero, trasparente e democratico.
Il direttore del Centro
Egiziano per i Diritti Economici e Sociali (ECESR), l’avvocato e attivista Malek Adly, ha portato a conoscenza un
precedente che potrebbe essere molto simile a quello di Regeni: un cittadino
croato è stato rapito, torturato e ucciso dalle forze di sicurezza del governo,
cosi come un cittadino francese. A ciò si legano anche migliaia di arresti e
circa 90 casi di persone scomparse nel nulla. Alcuni sono stati ritrovati nelle
carceri del vecchio regime e la maggior parte sono stati identificati come
oppositori al regime di Al-Sisi. Molte
altre persone sono scomparse tra l’aprile del 2014 e il giugno del 2015, molte
delle quali ritrovate morte. Anche il gruppo indipendente Freedom for the brave ha documentato 340 casi di sparizione forzata
negli ultimi due mesi. Se due indizi sono una coincidenza, migliaia di
sequestri fanno una prova. L’Italia vuole garanzie
certe per una soluzione positiva delle indagini e la più assoluta trasparenza,
ma innanzitutto dovrebbe rivedere la sua posizione nei confronti dell’Egitto. In
gioco non ci sono solamente le relazioni diplomatiche ma anche e soprattutto i
rapporti economici. Senza dimenticare che per Al-Sisi l’Italia è un importante partner commerciale, il primo in
Europa e il terzo nel Mondo, dopo Cina e USA. Ammettere le proprie
responsabilità significherebbe un grande imbarazzo anche di fronte alle imprese
italiane che hanno enormi investimenti nel Paese, come ENI che investirà circa
10 miliardi di dollari per lo sfruttamento integrale del giacimento gasiero “Zohr 1“, recentemente scoperto
nelle acque egiziane. Sicuramente, quella
chiarezza che tutti pretendiamo non arriverà mai, però siamo sicuri di una sola
cosa: del grande lavoro svolto da Giulio Regeni. Non tutti lo conoscevano, ma
la sua morte ha portato a conoscenza tanti fatti che non rimarranno solo carta
scritta. Almeno per chi vuole vedere e sentire.
Davide Daidone

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