#Pensatopervoi
La rubrica settimanale con le nostre proposte
Il trionfo di Aung San Suu Kyi: in Myanmar svolta democratica
Un importante processo
di cambiamento e democratizzazione potrebbe avere inizio da oggi in poi in
Myanmar e l’esito delle ultime elezioni sembra esserne una prova evidente. Il
Partito di opposizione “Lega Nazionale per la Democrazia” (Nld), guidato dalla
carismatica Aung San Suu Kyi, ha infatti ottenuto una vittoria schiacciante sul
“Partito dell’Unione per la Solidarietà e lo Sviluppo” (Usdp), appoggiato dai
militari. Alcuni timidi passi avanti erano già stati fatti tra il 2010 e il
2011 quando, in seguito allo scioglimento della giunta militare, si era
insediato il governo guidato dal presidente uscente Thein Sein. Quest’ultimo, infatti, aveva liberato un discreto numero di prigionieri politici, tra i quali
la stessa Aung San Suu Kyi e sembrava aver allentato, seppur leggermente, il
giogo politico, permettendo così all’Nld di ottenere 43 seggi su 45 nelle
elezioni del 2012 e di diventare il principale partito di opposizione in lizza
alle elezioni di questo Novembre. Il risultato è stato sorprendente e sancisce
la vittoria dell’Ndl con circa il 70-80% dei voti, tenuto conto che la soglia
ammonta al 67% circa dei voti e che il 25% dei seggi è riservato alla giunta
militare. Si ritiene pertanto che al partito spetterebbero 44 dei 45 seggi
della camera bassa birmana assegnati a Rangoon e tutti e 12 i seggi della
camera alta. La replica del presidente ad interim dell’Usdp Htay Oo non è
tardata ad arrivare: “Abbiamo perso. -ha affermato- ma accettiamo il risultato
senza alcuna riserva.”. Il popolo si è riversato nelle piazze per gioire del
risultato e Aung San Suu Kyi ha più volte invitato i suoi sostenitori a
mantenere un certo contegno e a non provocare i rivali sconfitti. La stessa Kyi
non si è sbilanciata troppo riguardo i risultati ottenuti, limitandosi a
dichiarare: “È ancora troppo presto per parlare del risultato, ma credo che ne
abbiate tutti un’idea”. Questo risultato, in effetti, non è che il primo passo
di un cammino tutt’altro che semplice da compiere. Prima di tutto, infatti, i
problemi che dilaniano il paese sono numerosi e complessi. Le minoranze
etniche, che durante le elezioni sembrano aver messo da parte le proprie
differenze culturali e ideologiche in nome di uno scopo comune, potrebbero ben
presto tornare a rivendicare maggiore autonomia, e questo non escluderebbe una
repentina inversione di rotta rispetto all’appoggio sino ad ora garantito
all’Nld; da non sottovalutare è anche la sempre maggiore insofferenza di
matrice anti-islamica, che trova in partiti come il Movimento 969 e Ma Ba Tha
una vasta rappresentanza, e che, unita a una profonda intransigenza religiosa
da parte delle forze buddiste, ha costretto lo stesso Nld a non presentare
candidati musulmani. Alla violenza e all’insofferenza razziale e religiosa si
unisce la dilagante corruzione e criminalità, avallata dall’ancora potentissima élite militare e rappresentata da un capillare commercio di sostanze
stupefacenti. Sul versante internazionale, infine, il paese si trova sempre più
schiacciato tra India e Cina (la quota di popolazione cinese sul territorio
birmano è notevolmente aumentata nel corso dell’ultimo decennio) e attira
sempre di più l’attenzione dei paesi occidentali, interessati ad un suo
possibile ruolo da tramite tra Est e Ovest. A tutte queste problematiche si
accompagnano anche le difficoltà pratiche direttamente derivate da queste
elezioni che, benché possano essere definite le prime elezioni libere dopo la
dittatura, hanno presentato alcune limitazioni, tant’è che l’esercito non ha
esitato a parlare di “democrazia controllata”: la polizia e i militari hanno
infatti parzialmente influenzato le campagne elettorali, manipolando le liste,
sabotando i comizi dei candidati dell’opposizione e impedendo a diverse
minoranze etniche di votare, poiché non annoverate tra quelle di cittadinanza
birmana. Le elezioni poi si collocano in un contesto politico-istituzionale
particolare: bisognerà prima di tutto stabilire se un governo democratico potrà
effettivamente formarsi. Il sistema elettorale sembra favorire questa
possibilità. Le elezioni per la formazione dello Hluttaw (questo il nome del
Parlamento del Myanmar), infatti, avvengono secondo un sistema maggioritario
denominato “first-past-the-post”, ovvero un maggioritario uninominale secco per
cui in ciascun collegio viene eletto chi ottiene la maggioranza dei voti e che
favorisce dunque la formazione di ampie maggioranze. Resta fuori discussione
che un governo democratico potrà instaurarsi solo qualora l’ Nld manterrà una
maggioranza schiacciante in Parlamento, riuscendo anche a contrastare
l’influenza politica dei militari che, secondo quanto stabilito dalla
Costituzione, hanno diritto ad un quarto dei seggi parlamentari. Last but not
least, si presenta la questione relativa all’elezione del Presidente. Sempre
nella Costituzione, infatti, è espressa a chiare lettere l’impossibilità di
accedere alla carica presidenziale per chiunque abbia marito o figli che siano
cittadini stranieri e abbiano pertanto giurato fedeltà ad
un altro paese. Questa norma sembra essere stata cucita proprio addosso ad Aung
San Suu Kyi, vedova del professore inglese Michael Aris, da cui ha avuto due
figli. Benchè dunque non possa allo stato attuale ottenere la carica la Lady
continuerà a svolgere un ruolo di primissimo piano, giustificato dalla sua
tenace e carismatica personalità. E chissà che, proprio in virtù di queste sue
doti che l’hanno resa celebre in tutto il mondo come un’icona della libertà e
della democrazia, non riesca ancora una volta a sovvertire l’ordine vigente e a
governare infine il proprio paese, come tanti anni prima di lei fece suo padre.
di cambiamento e democratizzazione potrebbe avere inizio da oggi in poi in
Myanmar e l’esito delle ultime elezioni sembra esserne una prova evidente. Il
Partito di opposizione “Lega Nazionale per la Democrazia” (Nld), guidato dalla
carismatica Aung San Suu Kyi, ha infatti ottenuto una vittoria schiacciante sul
“Partito dell’Unione per la Solidarietà e lo Sviluppo” (Usdp), appoggiato dai
militari. Alcuni timidi passi avanti erano già stati fatti tra il 2010 e il
2011 quando, in seguito allo scioglimento della giunta militare, si era
insediato il governo guidato dal presidente uscente Thein Sein. Quest’ultimo, infatti, aveva liberato un discreto numero di prigionieri politici, tra i quali
la stessa Aung San Suu Kyi e sembrava aver allentato, seppur leggermente, il
giogo politico, permettendo così all’Nld di ottenere 43 seggi su 45 nelle
elezioni del 2012 e di diventare il principale partito di opposizione in lizza
alle elezioni di questo Novembre. Il risultato è stato sorprendente e sancisce
la vittoria dell’Ndl con circa il 70-80% dei voti, tenuto conto che la soglia
ammonta al 67% circa dei voti e che il 25% dei seggi è riservato alla giunta
militare. Si ritiene pertanto che al partito spetterebbero 44 dei 45 seggi
della camera bassa birmana assegnati a Rangoon e tutti e 12 i seggi della
camera alta. La replica del presidente ad interim dell’Usdp Htay Oo non è
tardata ad arrivare: “Abbiamo perso. -ha affermato- ma accettiamo il risultato
senza alcuna riserva.”. Il popolo si è riversato nelle piazze per gioire del
risultato e Aung San Suu Kyi ha più volte invitato i suoi sostenitori a
mantenere un certo contegno e a non provocare i rivali sconfitti. La stessa Kyi
non si è sbilanciata troppo riguardo i risultati ottenuti, limitandosi a
dichiarare: “È ancora troppo presto per parlare del risultato, ma credo che ne
abbiate tutti un’idea”. Questo risultato, in effetti, non è che il primo passo
di un cammino tutt’altro che semplice da compiere. Prima di tutto, infatti, i
problemi che dilaniano il paese sono numerosi e complessi. Le minoranze
etniche, che durante le elezioni sembrano aver messo da parte le proprie
differenze culturali e ideologiche in nome di uno scopo comune, potrebbero ben
presto tornare a rivendicare maggiore autonomia, e questo non escluderebbe una
repentina inversione di rotta rispetto all’appoggio sino ad ora garantito
all’Nld; da non sottovalutare è anche la sempre maggiore insofferenza di
matrice anti-islamica, che trova in partiti come il Movimento 969 e Ma Ba Tha
una vasta rappresentanza, e che, unita a una profonda intransigenza religiosa
da parte delle forze buddiste, ha costretto lo stesso Nld a non presentare
candidati musulmani. Alla violenza e all’insofferenza razziale e religiosa si
unisce la dilagante corruzione e criminalità, avallata dall’ancora potentissima élite militare e rappresentata da un capillare commercio di sostanze
stupefacenti. Sul versante internazionale, infine, il paese si trova sempre più
schiacciato tra India e Cina (la quota di popolazione cinese sul territorio
birmano è notevolmente aumentata nel corso dell’ultimo decennio) e attira
sempre di più l’attenzione dei paesi occidentali, interessati ad un suo
possibile ruolo da tramite tra Est e Ovest. A tutte queste problematiche si
accompagnano anche le difficoltà pratiche direttamente derivate da queste
elezioni che, benché possano essere definite le prime elezioni libere dopo la
dittatura, hanno presentato alcune limitazioni, tant’è che l’esercito non ha
esitato a parlare di “democrazia controllata”: la polizia e i militari hanno
infatti parzialmente influenzato le campagne elettorali, manipolando le liste,
sabotando i comizi dei candidati dell’opposizione e impedendo a diverse
minoranze etniche di votare, poiché non annoverate tra quelle di cittadinanza
birmana. Le elezioni poi si collocano in un contesto politico-istituzionale
particolare: bisognerà prima di tutto stabilire se un governo democratico potrà
effettivamente formarsi. Il sistema elettorale sembra favorire questa
possibilità. Le elezioni per la formazione dello Hluttaw (questo il nome del
Parlamento del Myanmar), infatti, avvengono secondo un sistema maggioritario
denominato “first-past-the-post”, ovvero un maggioritario uninominale secco per
cui in ciascun collegio viene eletto chi ottiene la maggioranza dei voti e che
favorisce dunque la formazione di ampie maggioranze. Resta fuori discussione
che un governo democratico potrà instaurarsi solo qualora l’ Nld manterrà una
maggioranza schiacciante in Parlamento, riuscendo anche a contrastare
l’influenza politica dei militari che, secondo quanto stabilito dalla
Costituzione, hanno diritto ad un quarto dei seggi parlamentari. Last but not
least, si presenta la questione relativa all’elezione del Presidente. Sempre
nella Costituzione, infatti, è espressa a chiare lettere l’impossibilità di
accedere alla carica presidenziale per chiunque abbia marito o figli che siano
cittadini stranieri e abbiano pertanto giurato fedeltà ad
un altro paese. Questa norma sembra essere stata cucita proprio addosso ad Aung
San Suu Kyi, vedova del professore inglese Michael Aris, da cui ha avuto due
figli. Benchè dunque non possa allo stato attuale ottenere la carica la Lady
continuerà a svolgere un ruolo di primissimo piano, giustificato dalla sua
tenace e carismatica personalità. E chissà che, proprio in virtù di queste sue
doti che l’hanno resa celebre in tutto il mondo come un’icona della libertà e
della democrazia, non riesca ancora una volta a sovvertire l’ordine vigente e a
governare infine il proprio paese, come tanti anni prima di lei fece suo padre.
Alessia Girgenti