Cricca e corruzione: il “dagli all’untore” dei fanatici senza idee


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Cricca e Corruzione: il “dagli all’Untore” dei fanatici senza idee 

Tra
le innumerevoli retoriche inflazionate nel linguaggio politico odierno ce n’è
una particolarmente di maniera e sempre più trasversale che merita qualche
riga: il discorso anti-casta/anti-corruzione. Qui per retorica si vuole intendere
ciò che nel discorso pubblico può essere usato in modo pretestuoso, come un
jolly del tutto scollegato dalla logica concatenazione dei concetti di una
discussione minimamente dotata di senso. La seconda doverosa premessa riguarda il fatto che ovviamente nessuno vuole fare un elogio del malaffare o
negare l’esistenza del problema. Si tratta di azzardare una breve analisi
sull’utilizzo che si suole fare di argomenti come questo, che catturano
facilmente la sensibilità del cittadino-elettore in quanto percepiti come
particolarmente odiosi. Il discorso su cui si è concentrata maggiormente
l’attenzione in quest’ottica è il modo in cui viene presentata la questione
immigrazione da parte di molta destra nostrana, tacciata di “specularci” sopra,
con metodo e linguaggio spesso politicamente scorretto e a volte razzista,
addossando le più disparate colpe all’immigrazione incontrollata, e i peggiori
crimini agli extracomunitari. Nulla (o quasi) di illegale, ma certamente qualcosa
di molto remunerativo in termini elettorali in quanto il problema è sempre più
sentito in tempi di crisi e incertezza come questi. La stessa analisi andrebbe però
fatta nei confronti del riduzionismo legalitario del discorso anti-casta. Il
problema esiste e, come sopra, è controproducente sottovalutarlo, ma è
insopportabile il fervore giacobino con cui un accanimento nei confronti dei
costi della politica, degli stipendi dei dipendenti delle camere, degli
indagati in primo grado da inibire per tutte le cariche pubbliche e della
piccola evasione fiscale di sopravvivenza viene visto come la soluzione alla
più grande crisi economica del dopoguerra, la panacea per la disoccupazione e i
sofferenti conti pubblici italiani. La percezione del fenomeno corruttivo in
Italia è anch’essa in costante crescita, sebbene non sia di certo un fenomeno di
nuova apparizione. Allo stesso modo in termini di corruzione accertata, non
possiamo certo ritenerci inferiori ad altri paesi europei come la Germania,
guru indiscusso della corruzione internazionale privata e protagonista di scandali
di proporzioni gargantuesche. Basti
pensare che in Grecia una parola in molti ambienti usata come sinonimo di
corrotto è Siemens. Una retorica
alimentata da una fetta sempre maggiore dell’informazione mainstream e dell’offerta politica, perché in effetti una bell’invettiva contro la corruzione è il modo più
semplice per accattivarsi un uditorio, che dopo anni di angherie, è desideroso di
vendetta contro chi non gli ha lasciato la propria parte del bottino, o al
peggio, contro il capro espiatorio della crisi del paese. È spesso
sottovalutato, inoltre, un effetto collaterale dell’abuso di tale discorso,
quando da semplicemente anti-statale viene declinato in senso anti-nazionale. La
reiterata (tutta nostrana) ostentazione dei problemi italiani a riscatto della
propria, integra e protestante moralità individuale, sviluppa un complesso di
inferiorità, ben nascosto dietro l’esterofilia, che contribuisce, qui si, alla
corruzione (nel senso etimologico di sfaldamento,
disfacimento
) della comunità nazionale e dunque dell’autorevolezza del
paese in ambito internazionale. In “Etica e Politica” Benedetto Croce scriveva,
a ragione, che “La penetrante richiesta di onestà nella vita politica
è l’ideale che canta nell’anima di tutti gli imbecilli”.
Qualunquismo dato in pasto tanto ai “bravi ragazzi” ed
ai “fanatici senza idee” degli anni dell’appiattimento politico, quanto ai “fedeli
alla linea” dell’epoca dell’appartenenza. Il significato ultimo
di un discorso pre-politico come questo, sta proprio nella possibilità di
sfruttare un eccellente diversivo per non affrontare le questioni politiche davvero
rilevanti,  probabilmente complesse, divisive
e non d’immediato impatto. Il grado zero di un’informazione depoliticizzata e
scandalistica, della cittadinanza ridotta a corpo elettorale da contendere a
scadenza fissa e di una politica impotente che basa la costruzione del consenso
solo sulla comunicazione e sull’immagine.
Luca Scaglione

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