70° anniversario della Liberazione: consenso e resistenza al regime fascista


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70° anniversario della Liberazione: consenso e resistenza al regime Fascista

a cura del Dipartimento Studi Storici e Filosofici

In una logica, ma non cronologica, successione il 25 aprile precede di poco le “radiose giornate di maggio”, scandendo nella linea della memoria storica italiana il ritmo dei sommovimenti popolari, delle adunate, e delle bandiere sventolanti, in una staffetta ideale tra le due guerre mondiali. Maggio viene dopo aprile, ma nel nostro caso avviene esattamente il contrario: aprile viene trent’anni dopo maggio, il maggio radioso, quando in molti vollero dar prova dell’amor di patria che li pervadeva, tradendo una dose di ingenuità e ottuso patriottismo. Il centenario dell’ingresso dell’Italia nella Grande Guerra induce a una riflessione sulla liberazione dal nazifascismo che non si fermi al “dogma del bene contro il male”, all’accettazione per fede del primo e alla repulsa inconsapevole per il secondo: la Liberazione è festa nazionale e la Resistenza è valore civile, è preludio allo sviluppo democratico del paese. Ma bisogna anche guardare alla società che l’ha prodotta, alla vicenda politica da cui scaturirono la privazione delle libertà, il disprezzo della democrazia e l’autoritarismo del regime fascista. Una giusta valutazione di tali elementi, esogeni ed endogeni, incide sulla percezione che di essa abbiamo noi che non ne siamo testimoni diretti. Posto che suscita indignazione il ricorrente tentativo di gettare ombre sulla Resistenza e sui suoi protagonisti, qualsivoglia ne sia la finalità, una più approfondita analisi impone di affrontare, se non vincere, un grave tabù intellettuale: siamo stati un paese fascista, un popolo francamente tollerante al regime autoritario, come testimoniano il sostegno della borghesia medio piccola e un massiccio consenso popolare. Lo storico Philip Cannistraro scrisse un saggio sul fascismo dal titolo “La Fabbrica del Consenso”, che rappresenta il primo tentativo storiografico di ricostruire, in modo sistematico, la struttura e il funzionamento dell’apparato propagandistico di Mussolini, con particolare attenzione al Ministero della Cultura Popolare, in una prospettiva volta a mostrare gli strumenti impiegati dal Duce per ottenere il consenso delle masse. Si trattava di un consenso estorto ed organizzato dall’alto; per questo motivo, lo storico coniò la definizione “fabbrica del consenso”, scoprendo come attraverso inediti meccanismi di controllo, di orientamento dell’opinione pubblica e di inquadramento delle masse, il fascismo fosse riuscito a ottenere una diffusa accettazione. Buona parte del corpus dottrinale fascista s’inspirava al Nazionalismo: il mito della nazione, la lotta delle nazioni più povere contro le potenze plutocratiche, l’esaltazione dello Stato-potenza come suprema autorità, sono tutti temi del patrimonio ideologico nazionalista. A differenza del Nazionalismo, che si rivolgeva alla borghesia più abbiente, il regime mussoliniano usufruiva della mobilitazione delle masse e, proprio grazie alla sua azione fintamente a favore dei ceti più disagiati, condusse una politica che, oggigiorno, definiremmo demagogica. Questo spiega il motivo per cui il Fascismo conservò, sebbene con forti opposizioni a causa delle forti limitazioni delle libertà personali, il consenso, almeno dal 1929 fino alla guerra, il cui disastroso andamento disilluse gli animi dei sostenitori. Il fenomeno della Resistenza, che viene puntualmente celebrato di anno in anno, ebbe la sua concentrazione nel biennio 1943- 1945, all’indomani dell’implosione del Fascismo su se stesso. La sua portata militare trascende la dimensione politica da cui tuttavia è generato: forze politiche di eterogenea provenienza furono anzitutto solidali nel proposito di restituire la cultura delle libertà civili al popolo italiano precipitato nel caos. È tale proposito che va giustamente riportato all’attenzione di tutti, come opera volenterosa dei giovani partigiani che ebbero il coraggio di sfidare un nemico più grande di loro, ma anche e soprattutto come opera latente, oltraggiata e sopraffatta di quanti, nel corso della “crisi dei vent’anni” , non subirono il fascino del “movimento”, lo ripudiarono senza esitare, portando idealmente inalterato il germe della civiltà. In tutta Europa la Resistenza fu un fenomeno contemporaneamente politico e militare. Il ruolo politico dipese dal ruolo giocato dai partiti, dalle istanze patriottiche e dai sentimenti condivisi di lealtà nazionale. I comandi militari alleati diedero spazio limitato, ma significativo, ai movimenti di Resistenza:azioni di sabotaggio, servizio di ricerca di informazioni sul campo e attività dimostrative capaci di dar prova dell’esistenza di una opposizione ampia e radicata. Maggiori pressioni furono esercitate in quei paesi in cui si temeva l’instabilità e la deriva comunista: Grecia e Italia anzitutto. Non furono rari i casi in cui le potenze alleate intervennero apertamente a favore delle forze che ritenevano più affidabili e politicamente vicine. La Resistenza ebbe in Italia un’importanza particolare; infatti, tenendo conto dell’esperienza dal ventennio fascista ,il paese trovava nella Resistenza un corpo di principi condivisi su cui sarebbe stata fondata la Costituzione della Repubblica italiana e la nuova classe dirigente. Un atteggiamento scarsamente vendicativo ( anche se non mancarono vendette animate da rancori personali) e l’assenza di una reale epurazione delle amministrazioni pubbliche contribuirono ad una pacificazione veloce. Dopo l’armistizio di Cassibile (8 Settembre 1943) in Italia si intrecciarono resistenza all’invasore tedesco e guerra civile contro la Repubblica Sociale Italiana guidata da Mussolini e che rivendicava il governo sull’intero paese ( di fatto sotto il suo controllo era solo parte del territorio del norditalia non occupato dai tedeschi). Parteciparono alla lotta non solo gli antifascisti che si erano opposti al regime sin dai suoi primi passi e lo avevano contrastato clandestinamente o dal luogo di esilio ma anche i giovani democratici resi liberi dallo sfascio dell’esercito e le forze conservatrici che avevano preso le distanze dal fascismo e da Mussolini. Il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), fondato il 9 Settembre 1943, organizzò la resistenza. Al suo interno si scontrarono due diverse concezioni: il Partito d’Azione ( e le brigate di Giustizia e Libertà), guidato da Ferruccio Parri, puntava alla formazione di una forza partigiana democratica, nazionale e non politicizzata sul modello gerarchico dell’esercito regio; e il Partito Comunista era invece intenzionato a mantenere la guerra entro schemi poco rigidi, ricorrendo alla guerriglia e alla mobilitazione popolare. La forza degli eventi spinse le brigate di Giustizia e Libertà a condividere le strategie delle comuniste brigate Garibaldi. Guida politica della resistenza furono i locali Comitati di liberazione nazionale (Cln) che furono anche uno straordinario strumento di politicizzazione della resistenza e luogo di formazione per i nuovi gruppi dirigenti del periodo postbellico. Questo ovviamente non vuol dire che all’interno dei Cln non vi fossero tensioni, o contrapposizioni. I gruppi (Pci, Psiup, Dc, Pd’a, Pli) andavano via via assumendo caratteri distinti. In particolare il CLN si divise in Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI), con sede nella città di Milano durante la sua occupazione, ed Comitato di Liberazione Nazionale Centrale (CLNC). L’organizzazione ebbe per delega poteri di governo nei giorni di insurrezione nazionale. Alla seduta di fondazione parteciparono: Ivanoe Bonomi (DL, Presidente), Mauro Scoccimarro e Giorgio Amendola (PCI), Alcide De Gasperi (DC), Ugo La Malfa e Sergio Fenoaltea (PdA), Pietro Nenni e Giuseppe Romita (PSI), Meuccio Ruini (DL), Alessandro Casati (PLI). Ogni partito rappresentato nel CLN ebbe le sue formazioni militari partigiane, che in genere erano coordinate dal rispettivo rappresentante nel CLN (così come vi furono formazioni Repubblicane ed  anche di altri gruppi di sinistra) . I Comitati Regionali e Provinciali ebbero un compito prevalentemente politico e di coordinamento, con influenza ma non comando diretto sulle formazioni militari partigiane, che rispondevano in genere direttamente al loro partito. In vari casi le formazioni militari disattesero accordi e ordini del CLN. L’Assemblea Costituente fu in massima parte composta da esponenti dei partiti che avevano dato vita al CLN, i quali scrissero la Costituzione fondandola sulla sintesi tra le rispettive tradizioni politiche ed ispirandola ai princìpi della democrazia e dell’antifascismo. L’opera svolta e i compiti prefissi furono assai vari, perché alla lotta contro i nazisti venne affiancata l’esigenza di attuare una profonda trasformazione delle strutture politiche, sociali ed economiche del Paese. Il CLN, per le particolari condizioni politiche e ambientali, ebbe particolare forza soprattutto al Nord (aggiunse alla sigla AI, cioè Alta Italia) e al Centro dove, malgrado gli urti interni tra moderati e rivoluzionari, esso rivestiva un ruolo di grande importanza nella direzione della lotta partigiana. Sotto il profilo politico, il primo governo nazionale, espressione del Comitato di Liberazione Nazionale, venne costituito da Ivanoe Bonomi nel giugno 1944, ma solo con il governo Parri, nel maggio 1945, si sperò di affermare le istanze rinnovatrici sul piano delle istituzioni nazionali. La caduta di Parri, nel novembre 1945, influì sul CLN che, esautorato dal gabinetto De Gasperi, venne sciolto definitivamente con le elezioni per la Costituente del 2 giugno 1946.
Massimo Parisi , Salvo Carrubba, Salvo Palazzolo

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