Nemcov, la Russia e le annose derive autoritaristiche della presidenza Putin


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Nemcov, la Russia e le annose derive autoritaristiche della presidenza putin

Lungi dall’elucubrare su
possibili indizi di colpevolezza, e dall’affibbiare visceralmente
responsabilità giuridiche, il caso nebuloso dell’omicidio dell’ex vicepremier
del governo russo (in carica per un anno a cavallo tra il 1997 e il 1998 ) e
cofondatore del partito “Unione delle Forze di Destra” Boris Efimovic Nemcov fa
vacillare la già compromessa autenticità della macchina democratica ( almeno
formalmente ) russa. Velleitarie risulterebbero le congetture che avallano la
tesi di un’operazione destabilizzatrice degli Stati Uniti ( peraltro poco
perorata dai media occidentali) o di un tentativo delle opposizioni di minare
la stabilità politica della Repubblica federale. Riduttive, o quanto meno
semplicistiche, le ipotesi secondo cui l’assassinio sarebbe avvenuto su
ingiunzioni provenienti direttamente dalle stanze del Cremino. Risulta più efficiente quindi,
provare a tirarsi fuori dalla spirale aporetica a cui si rimarrebbe avvinghiati
nel tentativo di soluzione del caso e rivangare alcuni fatti ineluttabili
occorsi durante il mandato ormai di lungo corso della presidenza di Putin. In carica dal 2000, prima come
Presidente della Federazione fino al 2008, in veste di Primo ministro fino al
2012, e riconfermato Capo dello Stato successivamente, Putin ha avviato una
serie di riforme legislative volte a circoscrivere in maniera via via crescente
gli spazi democratici del paese. Dalla parziale censura della
rete, alla reintroduzione di norme specifiche contro le opposizioni, senza
escludere il monopolio della stampa ( il paese è al centocinquantaduesimo posto
nella classifica sulla libertà d’informazione), il leit motiv assolutistico
sembra essere incontrovertibile. Di seguito, un elenco sommario
degli eventi più discutibili che evidenziano come il cambiamento rispetto
all’epoca storica del regime sia quasi gattopardesco.
2000. Anno della sua ascesa al
potere, Putin fa subito la voce grossa. In pochi mesi vara un’iniziativa
legislativa che rimuove i governatori regionali dai loro scranni in Parlamento a cui avevano
accesso ex officio e crea nuovi distretti federali ( o super regioni ) con i
membri a capo nominati arbitrariamente dal Cremlino col compito di monitorare
l’operato delle regioni. La norma verrà inasprita nel 2004, quando in seguito
ad un catastrofico attacco terroristico in Cecenia, vengono portati avanti una
serie di emendamenti costituzionali che abrogano l’elezione democratica dei
governatori regionali, d’ora in avanti alla mercé del potere centrale. La
situazione tornerà alla normalità nel 2012, quando verranno ripristinate le
elezioni regionali, ma solo negli organi amministrativi i cui mandati sarebbero
terminati lo stesso anno. Esito: si è votato in sole cinque regioni.
2001. Gazprom, colosso
aziendale a partecipazione pubblica, rileva il controllo della stazione
televisiva NTV e licenzia lo staff del settimanale Itogi. Anche il
quotidiano Sevodnya chiude i battenti su diktat dell’azienda.
Parallelamente, nuove norme regolamentano l’attività degli inviati di guerra in
Cecenia: durante le attività di reportage è sempre necessario l’accompagnamento
di un addetto all’ufficio stampa del Ministero degli Interni.
2002. L’ultima rete televisiva
privata, Tv-6, sospende i servizi su ordinanza della corte d’arbitraggio di
Mosca, in seguito ad intimazioni del governo. La corruzione nel frattempo
dilaga: un think tank con sede a Mosca stima un ammontare di trentasette
miliardi di dollari spesi annualmente in tangenti.
2003. Viene promulgata una legge
che mina sensibilmente la libertà di cronaca, ove notizie critiche sui
candidati alle parlamentari dello stesso anno, avrebbero compromesso la
permanenza sul mercato delle agenzie di stampa e di aver sviscerato
informazioni potenzialmente destabilizzanti. La Corte Costituzionale
successivamente revisiona la norma, in alcune parti troppo restrittiva, ma ciò
non è sufficiente a restituire un tenue accenno di trasparenza alla campagna
elettorale.
2004. Le autorità continuano
nella loro opera di disincentivazione delle attività di figure poco prone a
legami di subordinazione istituzionali. Ad Aprile, il ricercatore Igor Sutyagin
è condannato a quindici anni di detenzione per aver rivelato segreti militari a
servizi d’Intelligence stranieri. Poco tempo dopo, sorte analoga tocca
al fisico Valentin Danilov: svelati alcuni segreti in materia di innovazione
tecnologica alla Cina, la pena per lui ammonta a quattordici anni di prigionia.
Messaggi in codice abbastanza chiari, atti a scoraggiare ogni tipo di contatto
tra accademici russi e stranieri.
Sotto torchio in numerosi atti
legislativi anche l’attività delle ONG, che avendo un raggio d’azione ben al di
là dei confini nazionali, esulano dai vincoli legislativi statali. Non nel caso
della Russia. Nel 2006 è emesso un atto legislativo che concede ai burocrati
ampia discrezionalità nella registrazione delle organizzazioni e inserisce
parametri onerosi quale criterio per il loro riconoscimento giuridico. Nel 2009
ne viene soppressa l’esenzione fiscale: a partire dall’anno successivo il
prelievo ammonterà al 24 %. dei ricavi.
L’anno successivo, la polizia
ispeziona più di quaranta sedi per accertarsi che le adempienze alla
legislazione statale siano effettive. Nel 2012, la Duma approva il testo sui “Foreign
Agents”,
che applica restrizioni alle Ong sovvenzionate da fondi stranieri,
rendendole suscettibili di ispezioni improvvise da parte delle autorità.
Glissando sulle innumerevoli
scomparse misteriose di giornalisti e attivisti per i diritti civili che lungo
il corso degli anni si sono schierati a favore di un paese più liberale,
permane un punto interrogativo storicamente insolubile: oberata eternamente
dall’uomo solo al comando, come può essere la Russia ontologicamente incapace
di mettere su una struttura decisionale meno verticistica e che coinvolga
trasversalmente tutta la società?
Federico Mazzara

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