L’intervento militare non è un rimedio ai fallimenti in politica estera


LA PAROLA ALL’ESPERTO

La rubrica mensile di IMESI che riporta la voce degli esperti sulle maggiori tematiche di politica internazionale

L’intervento militare non è un rimedio
ai fallimenti in politica estera
a cura del Prof. Fulvio Vassallo
Paleologo, Università degli studi di Palermo

Sono giorni in cui stanno
cambiando molte cose con una tale velocità che diventa persino difficile
scriverne. Alcuni fatti erano già prevedibili, come la deflagrazione della
Libia, dopo anni di politiche pavide e contraddittorie, culminate nel
“Processo di Khartoum”, opera del governo italiano nel semestre di
presidenza dell’Unione Europea. L’Italia è riuscita puntualmente a schierarsi
dalla parte sbagliata, come già aveva fatto con Karzai in Afghanistan, ed in
Libia ha perduto ogni credibilità dopo la frettolosa archiviazione della
richiesta, giunta da più parti in conflitto, di una mediazione da affidare a
Prodi. Il vero artefice del riallineamento della Libia a livello mondiale, quando
a partire dal 2004 veniva sospeso l’embargo e riprendeva il commercio
internazionale.
Ma oggi non sembra più tempo di
mediazioni di pace. E’ ormai guerra globale, dalla Nigeria all’Ucraina, dalla
Libia alla Danimarca, una serie di conflitti armati che si intrecciano sempre
più con episodi di terrorismo, da Parigi e Copenaghen, a Derna, in Libia, o ad
Alessandria in Egitto. Una partita difficile, che si gioca su scenari diversi,
nei paesi di transito, nelle zone di guerra, nei territori dell’Europa di Schengen,
nelle città soprattutto, dove tra le seconde generazioni ed i nuovi convertiti
all’Islam, cresce il consenso verso le formazioni islamiste armate. Piuttosto
che tra i migranti appena arrivati, i veri rischi per la convivenza pacifica e
la coesione sociale si annidano nel tessuto urbano dei paesi occidentali,
luoghi di lacerazione crescente anche per effetto di una crisi economica
devastante, culmine di processi di esclusione e di marginalizzazione che hanno
colpito ovunque i ceti più deboli e tra questi gli immigrati.
In Libia intanto è guerra aperta
tra le diverse milizie armate e si avvicina uno scontro, a Misurata, che
potrebbe essere cruciale per l’esito finale del conflitto in corso. Dopo le
sortite interventiste di Gentiloni e della Pinotti, Renzi ha tirato il freno,
ma la frittata ormai è fatta. I problemi in Libia non nascono all’improvviso
negli ultimi mesi, ma discendono dalla gestione puramente economica del
dopo-Gheddafi, con il ruolo di rappresentanti del governo italiano, come di
altri governi, a gruppi di multinazionali. La politica estera italiana è stato
di fatto appaltata ai vertici della grandi società che operavano in Libia. Nel
tentativo di contrastare l’avanzata delle milizie islamiste, in questi ultimi
mesi, ci si è affidati a regimi dittatoriali, e si è abbandonata 
l’opposizione democratica e la nascente società civile che, dopo la stagione
delle “primavere arabe” nel 2011 aveva cercato con diverse modalità,
dalla Siria all’Egitto ed ancora dalla Libia al Marocco, di costruire una
alternativa alle dittature, militari o religiose che fossero. Si è preferito
ricorrere al generale Haftar che intendeva “normalizzare” la Libia
con i bombardamenti aerei, piuttosto che fornire un supporto effettivo al
faticoso percorso di pace avviato dalle Nazioni Unite con i colloqui a Ginevra
tra le diverse fazioni che si contendono la Libia. Ed adesso i bombardamenti di
Haftar sono supportati dai caccia egiziani.
Adesso lo “stato di
guerra” alimenta le spinte più pericolose, dalla prospettiva di un intervento
armato in Libia, caldeggiato dai vertici militari egiziani, fino alla caccia al
“nemico interno” nei territori dell’Unione Europea, soprattutto dopo
i più recenti attentati. I rischi di una islamofobia di massa sono sempre
maggiori, e la società civile europea rischia una frammentazione senza
precedenti. Perchè ormai gli immigrati e le comunità musulmane sono parte
costituente della società europea, non saranno certo eliminabili con bandi o
misure di stampo repressivo. La vera
sfida oggi sta tutta nella capacità di raccordare, nel rispetto delle
differenze, di aumentare la conoscenza, l’ascolto, il confronto, di costruire
un fronte unico contro la violenza di qualsiasi matrice sia. Una partita che si
gioca in Europa, che deve servire anche a smorzare le spinte interventiste e
che deve comportare una svolta nella politica estera fin qui adottata anche dal
nostro paese.
Per approfondire 
tematiche relative all’immigrazione è possibile consultare anche il
blog:  www.dirittiefrontiere.blogspot.it
a cura del  Professor Fulvio Vassallo
Paleologo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *