#Pensatodavoi
Lo spazio settimanale, a misura di lettore, per le vostre riflessioni
Quale democrazia in Europa?
È facile parlare del “dover essere” dell’Europa. Lo è meno fare i conti con la sua essenza
reale. Ancor più interessante sarebbe azzardare un’ analisi che tocchi le
ragioni politico istituzionali all’interno del contesto storico Europeo. L’UE è
un unicum storico. Stati sovrani, a partire dal dopoguerra, mettono in comune
parte delle loro prerogative per seguire un percorso che va dalla composizione
di un mercato unico fino a una futuribile federazione. Dal dopo guerra ad oggi
gli Stati sovrani sono aumentati sensibilmente, in seguito al processo di
decolonizzazione e allo scioglimento di unioni e federazioni dal passato
pesante. Il processo d’ integrazione europeo è una vera e propria avanguardia,
soprattutto se si guarda il proliferare di unioni doganali ed esperimenti più
avanzati in giro per il mondo come l’ASEAN. Posta questa doverosa premessa, che
ricorda la forte ambizione del progetto comunitario, il quesito rimane: quale
Europa?
La vulgata ufficiale del buon europeista progressista, suona più o meno così :
“L’ Europa unita è un bellissimo sogno democratico, ma i cattivi e
intransigenti übermensch tedeschi non vogliono cooperare e ne impediscono il
ridente avvenire”. A questo discorso segue poi l’impossibilita’ di trarne
le logiche conseguenze, fermandosi ad un generico “ci vuole più Europa”. La deflazione,
la disoccupazione, i morti dei paesi del sud possono infatti tranquillamente
aspettare, data da destinarsi, un fantomatico rinsavimento della Germania,
nemico su cui sempre più si scaricano tensioni non esattamente conformi al
pacifico spirito comunitario. Per provare a spingersi oltre questa
rappresentazione quantomeno farsesca della crisi europea, a mio avviso, bisogna
cercare di toccare i reali problemi dell’impalcatura democratica dell’unione e
cambiare domanda: quale democrazia in Europa? L’UE pone le sue fondamenta nella costituzione
di presunti organismi “tecnici” come la BCE e la Commissione, che
pongono al di fuori dal controllo democratico importanti aree della sovranità
ex-statuale. L’indipendenza della BC, (che ha natura politica e lo dimostra di
continuo, da ultime le misure nei confronti del sistema bancario greco) è
l’esempio più evidente di questa tecno-burocratizzazione delle sovranità
popolari. Storicamente la costruzione europea si è sviluppata a partire dal
cosiddetto asse franco-tedesco, seguendo un’impostazione essenzialmente centralista.
I paesi periferici hanno di fatto inseguito, a volte arrancando, un progetto
portato avanti da Francia e Germania pensando potessero essere quella
“locomotiva” che li avrebbe trainate in quel “progresso comune”, di
cui qualcuno ancora oggi vaneggia. La realtà ci consegna un’Unione che di fatto
manca di una vera accountability democratica. Pensare di continuare su questa
strada centralista, semplicemente riequilibrando i poteri tra Parlamento e
Consiglio, o giungere a pensare addirittura l’eleggibilità di un improbabile
esecutivo della Super-Nazione europea, non solo non tiene conto delle realtà
storiche (un bavarese oggi non ha più alcuna voglia di pagare per un sassone,
figurarsi per un portoghese), né dà una risposta necessaria e praticabile ai
paesi in difficoltà (che possono sempre aspettare), ma non coglie la questione
democratica. Le istituzioni nazionali e
internazionali sono sempre più distanti dai cittadini. La disaffezione verso il
momento elettorale è una piaga comune in tutta Europa. Privare le singole
comunità nazionali e regionali di ulteriore sovranità, spostandola a Bruxelles
e Francoforte, potrebbe contribuire solamente ad aggravare la crisi europea. La
centralizzazione delle istituzioni democratiche facilita un controllo maggiore,
su queste ultime, da parte delle lobbies, le quali, agendo su scala europea,
risultano evidentemente meno controllabili. La riduzione degli spazi di
governance democratica è quindi accompagnata da un’inevitabile deriva
oligarchica che matura sotto la crescente pressione del lobbismo
internazionale. Ristabilire accountability democratica a livello europeo è
l’unico modo per salvare un’idea sostenibile e solidale di Europa, e di ridare
autorevolezza a quel che rimane delle mai abbastanza osannate costituzioni
democratiche del dopoguerra, sempre più svuotate da questo processo di tecno-burocratico
europeo. Proposte che passino dalla messa in discussione del dogma della BCE
indipendente, dall’istituzione di meccanismi di riequilibrio delle asimmetrie
economiche, fino alla costruzione di nuovi spazi di governace democratica, sono
perfettamente contrarie e alternative alla struttura costitutiva dell’Unione. Va
da sé che un percorso di questo tipo non sembra minimamente percorribile. “Less
Europe is more”, parafrasando la massima del modernista L.M. van der Rhode, può
forse essere la risposta più sincera alle domande poste dalla crisi europea.
reale. Ancor più interessante sarebbe azzardare un’ analisi che tocchi le
ragioni politico istituzionali all’interno del contesto storico Europeo. L’UE è
un unicum storico. Stati sovrani, a partire dal dopoguerra, mettono in comune
parte delle loro prerogative per seguire un percorso che va dalla composizione
di un mercato unico fino a una futuribile federazione. Dal dopo guerra ad oggi
gli Stati sovrani sono aumentati sensibilmente, in seguito al processo di
decolonizzazione e allo scioglimento di unioni e federazioni dal passato
pesante. Il processo d’ integrazione europeo è una vera e propria avanguardia,
soprattutto se si guarda il proliferare di unioni doganali ed esperimenti più
avanzati in giro per il mondo come l’ASEAN. Posta questa doverosa premessa, che
ricorda la forte ambizione del progetto comunitario, il quesito rimane: quale
Europa?
La vulgata ufficiale del buon europeista progressista, suona più o meno così :
“L’ Europa unita è un bellissimo sogno democratico, ma i cattivi e
intransigenti übermensch tedeschi non vogliono cooperare e ne impediscono il
ridente avvenire”. A questo discorso segue poi l’impossibilita’ di trarne
le logiche conseguenze, fermandosi ad un generico “ci vuole più Europa”. La deflazione,
la disoccupazione, i morti dei paesi del sud possono infatti tranquillamente
aspettare, data da destinarsi, un fantomatico rinsavimento della Germania,
nemico su cui sempre più si scaricano tensioni non esattamente conformi al
pacifico spirito comunitario. Per provare a spingersi oltre questa
rappresentazione quantomeno farsesca della crisi europea, a mio avviso, bisogna
cercare di toccare i reali problemi dell’impalcatura democratica dell’unione e
cambiare domanda: quale democrazia in Europa? L’UE pone le sue fondamenta nella costituzione
di presunti organismi “tecnici” come la BCE e la Commissione, che
pongono al di fuori dal controllo democratico importanti aree della sovranità
ex-statuale. L’indipendenza della BC, (che ha natura politica e lo dimostra di
continuo, da ultime le misure nei confronti del sistema bancario greco) è
l’esempio più evidente di questa tecno-burocratizzazione delle sovranità
popolari. Storicamente la costruzione europea si è sviluppata a partire dal
cosiddetto asse franco-tedesco, seguendo un’impostazione essenzialmente centralista.
I paesi periferici hanno di fatto inseguito, a volte arrancando, un progetto
portato avanti da Francia e Germania pensando potessero essere quella
“locomotiva” che li avrebbe trainate in quel “progresso comune”, di
cui qualcuno ancora oggi vaneggia. La realtà ci consegna un’Unione che di fatto
manca di una vera accountability democratica. Pensare di continuare su questa
strada centralista, semplicemente riequilibrando i poteri tra Parlamento e
Consiglio, o giungere a pensare addirittura l’eleggibilità di un improbabile
esecutivo della Super-Nazione europea, non solo non tiene conto delle realtà
storiche (un bavarese oggi non ha più alcuna voglia di pagare per un sassone,
figurarsi per un portoghese), né dà una risposta necessaria e praticabile ai
paesi in difficoltà (che possono sempre aspettare), ma non coglie la questione
democratica. Le istituzioni nazionali e
internazionali sono sempre più distanti dai cittadini. La disaffezione verso il
momento elettorale è una piaga comune in tutta Europa. Privare le singole
comunità nazionali e regionali di ulteriore sovranità, spostandola a Bruxelles
e Francoforte, potrebbe contribuire solamente ad aggravare la crisi europea. La
centralizzazione delle istituzioni democratiche facilita un controllo maggiore,
su queste ultime, da parte delle lobbies, le quali, agendo su scala europea,
risultano evidentemente meno controllabili. La riduzione degli spazi di
governance democratica è quindi accompagnata da un’inevitabile deriva
oligarchica che matura sotto la crescente pressione del lobbismo
internazionale. Ristabilire accountability democratica a livello europeo è
l’unico modo per salvare un’idea sostenibile e solidale di Europa, e di ridare
autorevolezza a quel che rimane delle mai abbastanza osannate costituzioni
democratiche del dopoguerra, sempre più svuotate da questo processo di tecno-burocratico
europeo. Proposte che passino dalla messa in discussione del dogma della BCE
indipendente, dall’istituzione di meccanismi di riequilibrio delle asimmetrie
economiche, fino alla costruzione di nuovi spazi di governace democratica, sono
perfettamente contrarie e alternative alla struttura costitutiva dell’Unione. Va
da sé che un percorso di questo tipo non sembra minimamente percorribile. “Less
Europe is more”, parafrasando la massima del modernista L.M. van der Rhode, può
forse essere la risposta più sincera alle domande poste dalla crisi europea.
Luca Scaglione
Dopo avere visto la Merkel e Hollande a Minsk e non avere visto invece Juncker e la Mogherini, mi convinco ancora di più della assoluta inutilità di " questa " Unione Europea.
Avevo inserito un passaggio che probabilmente e' saltato, quando parlavo della natura centralista: "chi sta trattando con Putin e Poroshenko, la Mogherini?)". Che la "periferia" dell'UE sia considerata alla stregua di una mera appendice e' un fatto che mortifica le potenzialita' di questi paesi come attori nel loro ambiente. L'associazione e il blog fanno un chiaro accenno al Mediterraneo, esempio perfetto. Merita una seria riflessione.