Brent tra risparmi e deflazione 1


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Brent
tra risparmi e deflazione



Il prezzo del petrolio
continua a scendere e non si intravede ancora la soglia minima da cui ci si può
aspettare un rimbalzo. I dati sono in continua evoluzione ma si è già scesi
sotto i 50 dollari al barile, più precisamente mentre scrivo il WIT a 49,2 e il
Brent a 51,7, i valori più bassi dal periodo 2008-2009 post crollo di Lehmann
Brothers, in cui il barile raggiunse il valore di 32 dollari.Le cause sembrano
essere tante ma partiamo innanzi tutto dalla esponenziale e generalizzata
crescita della produzione mondiale. Negli Stati Uniti è stata intrapresa negli
ultimi anni una vera corsa all’indipendenza energetica basata sullo sviluppo di
nuovi giacimenti di shale, che ha consentito il raggiungimento di una produzione
tale che probabilmente porterà gli USA ad essere il primo produttore mondiale
di petrolio già nel 2015. Anche nei paesi OPEC ed in Russia si è registrato un
aumento di produzione del greggio, che insieme al contestuale rifiuto dell’OPEC
stesso di limitare temporaneamente la produzione per sostenerne il prezzo, ha
contribuito a questa formidabile espansione dell’offerta.

È altresì importante in
questo contesto notare come le instabilità regionali in Libia e in Iraq
(secondo produttore OPEC), a differenza di precedenti esperienze simili, non
stiano in nessun modo frenando la caduta del prezzo del petrolio di questi
ultimi mesi.
Altre importanti
concause possono essere rintracciate senza dubbio nel crollo della domanda
mondiale durante questi ultimi anni di crisi e nella rivalutazione del dollaro
di questi ultimi mesi che retroagisce anche essa negativamente sulla domanda di
tutte le commodities (tra cui naturalmente il petrolio).
Ora i quotidiani
nazionali si sono naturalmente affrettati a esporre i benefici che questo
crollo del prezzo del petrolio può portare nelle tasche delle famiglie e ai
nostri conti pubblici. Dal calo del costo dell’energia, del prezzo delle bollette
di luce e gas, alla benzina che presto può scendere sotto 1,4 € al litro. Tutto
ciò, insieme alla congiunturale svalutazione dell’euro sul dollaro,
garantirebbe in Italia una piccola boccata d’aria specialmente per  le imprese votate all’export.
Ma proviamo ad
allargare un po’ lo sguardo, senza per questo perderci in ardite quanto inutili
e improbabili analisi di scenario. In queste settimane le Borse europee stanno
fibrillando, per semplificare si individuano solitamente due cause principali
le elezioni anticipate in Grecia e appunto il crollo del prezzo del petrolio.
La questione greca può essere analizzata in altre occasioni ed onestamente
credo sia molto strumentalizzata in questo momento. Ritornando al petrolio si
possono ipotizzare 3 principali motivi di allarme soprattutto in ambito
europeo:

1.    
Perdurare della crisi Ucraina2.    
Rischio deflazione3.    
Entità e tempi del rimbalzo
Il crollo dei prezzi
del petrolio sta mettendo in seria difficoltà l’economia Russa (così come
quella del Venezuela), il valore del rublo si è quasi dimezzato in un anno, e
c’è chi vede in questo un possibile riacutizzarsi della crisi con Stati Uniti
ed UE per ora scongiurata con malcelata disinvoltura da un Cremlino che cerca
di voltarsi ad oriente. Il fronte ucraino è ancora una ferita aperta alla
frontiera est dell’Europa.
Gli ultimi dati della
Commissione e dell’Eurotower mostrano un inflazione asfittica nell’eurozona
intorno allo 0,2% ben lontana dai pur minimi obbiettivi della BCE del 2%, e la
continua discesa del valore del greggio potrebbe rendere sostanzialmente inutile
il “quantitative easing” (acquisti di titoli nel mercato interbancario per
favorire l’immissione di liquidità) per cui Draghi sta strenuamente lottando in
seno al board della BC.
Infine l’incognita
sulla durata di questa caduta del greggio. Più il prezzo del barile continuerà
la sua crescita negativa (economicismo), più, a causa di un effetto
spiazzamento che potrebbe penalizzare nel breve gli investimenti, e nel
medio-lungo periodo l’offerta, aumenterà il rischio di una repentina crescita
delle quotazioni dello stesso.
Tutti scenari che
appaiono difficilmente gestibili da un Moloch europeo, immobilizzato da
interessi divergenti, crescenti problemi interni e scarsa agilità politica
internazionale.



Luca Scaglione 

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